Pubblicità Birra: Storie e Icone Italiane

Le campagne pubblicitarie legate alla birra hanno segnato intere generazioni di consumatori, trasformando semplici spot in pezzi di cultura popolare. In Italia, terra tradizionalmente di vino, la birra ha conquistato il suo spazio anche grazie a messaggi pubblicitari memorabili: dai Caroselli degli anni ’60 con protagoniste affascinanti bionde a slogan entrati nel linguaggio comune. Ripercorriamo un viaggio tra le pubblicità di birra storiche e iconiche italiane (priorità assoluta) e qualche esempio dall’estero, scoprendo come slogan azzeccati, testimonial carismatici e campagne audaci abbiano fatto la storia del marketing birrario. Attraverso decenni di spot televisivi, radiofonici, cartacei e oggi social, vedremo come la pubblicità abbia plasmato l’immaginario della bionda nazionale, contribuendo a rendere famose le birre e ad avvicinare il pubblico a questa bevanda. Preparatevi a un tuffo nostalgico tra jingle irresistibili, claim provocatori e personaggi indimenticabili: queste campagne sono molto più che semplici annunci, sono uno specchio dell’evoluzione dei tempi e dei gusti, capaci di raccontare l’Italia che cambia con una pinta in mano.

In questo post

Scopriamo insieme gli spot birrari che hanno fatto epoca e il loro contesto storico:

Le prime campagne pubblicitarie in Italia

Le primissime pubblicità della birra in Italia risalgono all’inizio del ’900, quando la birra era ancora una bevanda poco diffusa nel Paese. In quel periodo, i birrifici cercavano di farsi largo in un mercato dominato dal vino, usando affissioni e annunci stampati per educare il pubblico. Già nel 1929 compare uno slogan destinato a entrare nella leggenda: “Chi beve birra campa cent’anni”. Questa frase venne utilizzata in una campagna collettiva per promuovere la birra come bevanda sana e nutriente. Per quanto oggi faccia sorridere (addirittura si consigliava la birra anche ai bambini!), all’epoca quel messaggio colpiva l’immaginario: prometteva longevità e benessere grazie a un boccale di birra. Era il segno dei tempi: la pubblicità puntava molto su supposti benefici salutistici, riflettendo una mentalità in cui la birra veniva presentata come alimento nutriente. Oggi sappiamo bene che l’alcol va consumato con giudizio – il consumo moderato di birra può avere qualche beneficio, ma certamente non è un elisir di lunga vita. Sta di fatto che “chi beve birra campa cent’anni” divenne un modo di dire popolare, testimonianza del successo di quella trovata pubblicitaria (ancora oggi citata come una delle leggende sulla birra più famose).

Negli anni ’30 e ’40 la promozione della birra passò anche da iniziative originali. Un esempio fu il mitico camion-bar: negli anni 1950-58 un camioncino attrezzato girava per le piazze italiane offrendo assaggi gratuiti di birra alla gente. Dopo aver assaporato la bevanda, veniva proiettato un breve filmato intitolato “Il fiume d’oro” che spiegava cos’era la birra e come veniva prodotta. Era un modo pionieristico di marketing esperienziale: se il consumatore non andava verso la birra, era la birra ad andare verso il consumatore, incuriosendolo e istruendolo. Queste strategie, insieme ai primi spot radiofonici e cinematografici, iniziarono a portare la birra nelle case e nelle abitudini degli italiani. È interessante notare che proprio in quegli anni aumentò anche il consumo nazionale: l’avvento del frigorifero e della pubblicità spinsero i consumi pro-capite di birra a livelli mai visti prima (circa 16 litri annui a fine anni ’60). In un paese dove la birra era stagionale e considerata solo un rinfresco estivo, le campagne cercavano di destagionalizzare l’uso, invitando a berla tutto l’anno e in varie occasioni. L’industria birraria stava crescendo, e le pubblicità furono un motore importante di questa crescita, accompagnando l’evoluzione del mercato della birra in Italia con linguaggi nuovi e accattivanti.

L’era delle bionde e degli slogan indimenticabili

Con l’arrivo della televisione nelle case italiane, esplode l’era dei Caroselli – brevi sketch pubblicitari trasmessi in TV soprattutto negli anni ’60. La birra fu protagonista di Carosello sin dal 1959, e da allora regalò al pubblico alcuni spot divenuti cult. Proprio a Carosello la birra si vestì dei volti di star nazionali e internazionali: nel 1959 il cantante Fred Buscaglione, affiancato dall’attrice svedese Anita Ekberg, comparve in un mini-film in cui sorseggiava birra esclamando estasiato “Che birra!”, parodiando il suo famoso “Che bambola!”. Poco dopo, la birra cantava sensualmente “Amado mio” con Mina (nei Caroselli 1961-64), dove la celebre cantante – travestita da Rita Hayworth – concludeva lo sketch proclamando: “Bionda o bruna, basta che sia birra”. Erano scenette che univano intrattenimento e pubblicità in modo memorabile: la birra veniva personificata come compagna glamour in linea con i gusti dell’Italia del boom economico.

Ma il vero mito pubblicitario nasce nel 1967, quando fa la sua comparsa l’icona della “Bionda Peroni”. In quegli anni, il birrificio Peroni lanciò una serie di Caroselli diretti dal noto creativo Armando Testa, con protagonista una modella tedesca dai capelli dorati, Solvi Stubing. Lo slogan che sussurrava guardando in camera – “Chiamami Peroni, sarò la tua birra” – divenne un tormentone nazionale. In questi sketch, Solvi (la bionda Peroni) sfuggiva a un inseguitore per poi concedergli solo un bicchiere di birra, il tutto con tono civettuolo e ironico. Il successo fu clamoroso: ancora oggi se si nomina quella frase molti italiani la riconoscono all’istante. La birra Peroni veniva così personificata in una donna affascinante, al punto che per anni gli spot Peroni puntarono su attrici bionde come simbolo del marchio. Questa scelta comunicativa ebbe un impatto enorme: Peroni diventò sinonimo di “birra nazionale” proprio grazie a quel volto e a quello slogan. Certo, col senno di poi quel tipo di pubblicità incentrata sulla figura femminile stereotipata attirò critiche, specialmente dai movimenti femministi degli anni ’70, che accusavano Peroni di sessismo. Eppure l’azienda rispose con astuzia: realizzò addirittura uno spot “di risposta” ambientato in una finta conferenza femminista, in cui era una donna anziana a pronunciare “Chiamami Peroni, sarò la tua birra” rivendicando ironicamente il diritto delle donne a gustare la birra. Questa mossa trasformò la critica in opportunità, mostrando come la comunicazione potesse adattarsi ai tempi che cambiavano.

Parallelamente alla Bionda Peroni, altri marchi costruivano la propria identità pubblicitaria. Negli anni ’70 Birra Moretti puntò sul suo iconico “Baffo” – l’uomo con i baffi e il cappello dell’etichetta – portandolo in vita negli spot. L’attore Marcello Tusco interpretava il Baffo Moretti in scenette simpatiche, sottolineando con il suo accento nord-italiano quanto la Birra Moretti fosse genuina e rinfrescante “da rinfrescare il cuore… e l’immagine!”. Questo personaggio divenne amatissimo dal pubblico per la sua bonarietà e autenticità, contribuendo a fissare Birra Moretti nell’immaginario collettivo come la birra della tradizione e della convivialità all’italiana. Vale la pena ricordare che nomi come Peroni e Moretti sono tuttora birre italiane famose proprio per questo lungo lavoro di branding: i loro slogan e personaggi pubblicitari hanno mantenuto alta la riconoscibilità attraverso i decenni.

Non tutti i messaggi però erano scanzonati: alla fine degli anni ’70, l’Assobirra (associazione dei produttori) lanciò una campagna educativa sulla purezza della birra. In quegli anni il pubblico iniziava a preoccuparsi degli additivi nelle bevande, e così venne arruolato un celebre showman, Renzo Arbore, per rassicurare gli italiani. Arbore appariva in spot sobri, sorseggiando un boccale e invitando tutti a “meditare” sulle qualità della birra 100% naturale, senza coloranti. La chiusura di quei messaggi era affidata al suo sussurro diventato proverbiale: “Birra… e sai cosa bevi”. Anche questo slogan entrò nel gergo comune: ancora oggi, se qualcuno esalta la genuinità di una birra, c’è chi scherzando cita “birra e sai cosa bevi”. Gli spot di Arbore a inizio anni ’80 furono davvero iconici: con garbo e ironia, riuscirono a comunicare concetti tecnici (assenza di coloranti) trasformandoli in un tormentone. Arbore, già amatissimo dal pubblico, conferì credibilità e simpatia al messaggio, segnando un punto di svolta: per la prima volta una pubblicità di birra in Italia puntava più sull’informazione che sulla mera immagine glamour, e funzionò alla grande.

Anni ’80 e ’90: nuove icone e ironia in pubblicità

Gli anni Ottanta proseguirono sulla scia tracciata. Oltre alla campagna collettiva con Arbore, i singoli brand intensificarono la propria comunicazione, spesso con toni più leggeri e ironici adatti a un decennio spensierato. Birra Peroni continuò la sua tradizione delle bionde con nuove testimonial (ad esempio l’attrice italiana Milly Carlucci fu volto Peroni a metà anni ’80) e spot patinati che esaltavano lo stile di vita solare e disinvolto associato alla birra. Nastro Azzurro, la lager premium di Peroni, si presentava con pubblicità eleganti dal taglio internazionale, posizionandosi come la birra italiana sofisticata. Uno spot famoso di fine anni ’80 per Nastro Azzurro mostrava scene estive al rallentatore, una colonna sonora orecchiabile e il claim “Peroni Nastro Azzurro – per chi ha grinta”, puntando sull’idea di una birra per chi vive la vita al massimo. Anche la Birra Dreher o la Birra Splügen (marchi all’epoca popolari) ebbero i loro spot in TV, spesso con jingle accattivanti: molti ricordano slogan come “Chiara, fresca… Dreher” cantato allegramente negli spot di quella lager chiara, oppure le scenette umoristiche della Splügen che nel Carosello vedevano protagonista il comico Franco Franchi. Insomma, negli anni ’80 la pubblicità birraria italiana alternava glamour e risate, consolidando l’idea della birra come bevanda conviviale, adatta tanto all’aperitivo trendy quanto alla serata tra amici.

Arrivano i primi anni ’90 e l’approccio pubblicitario subisce un’evoluzione: cresce l’ironia dissacrante e si sperimentano nuovi canali. Un caso emblematico è quello di Ceres, birra danese ma popolarissima tra i giovani italiani. Ceres fin dagli anni ’90 adottò uno stile pubblicitario provocatorio e fuori dagli schemi, lontano dall’eleganza patinata di Peroni. Celebri furono i suoi manifesti e spot con giochi di parole irriverenti e riferimenti all’attualità. Ad esempio, a metà anni ’90 apparvero cartelloni con la scritta “Finalmente Venerdì” e il logo Ceres, giocando sull’entusiasmo del weekend (e sul fatto che Ceres c’è quando vuoi festeggiare). Negli anni 2000 questo approccio esplosivo si spostò sui social network: Ceres divenne un caso di studio per il real-time marketing, commentando con graffiante ironia eventi di cronaca o costume in tempo reale su Facebook e Twitter. Ma già nei ’90 gettava le basi, facendosi notare come birra irriverente e conquistando un pubblico giovane che apprezzava quel tono sopra le righe. Non a caso, alcune pubblicità Ceres hanno pure suscitato polemiche e mini-scandali per i contenuti audaci – segno che il brand sapeva benissimo come far parlare di sé (un esempio perfetto di come la pubblicità può sconfinare nelle storie controverse nel mondo brassicolo senza però danneggiare realmente l’immagine del marchio, anzi spesso rafforzandola presso il target di riferimento).

Parallelamente, altri grandi nomi consolidarono la propria iconografia pubblicitaria. Birra Moretti negli anni ’90 rilanciò il personaggio del Baffo in nuove vesti: l’attore Orso Maria Guerrini divenne il volto della marca, apparendo nei panni dell’uomo baffuto con il boccale in mano in una serie di spot e materiali promozionali. La sua battuta “dove c’è Birra Moretti c’è casa” accompagnata da un sorriso bonario trasmetteva perfettamente l’idea di tradizione familiare e genuinità. Quell’immagine dell’omone simpatico che beve Birra Moretti sotto il cappello ha resistito negli anni come sinonimo di autenticità. Anche Heineken – birra olandese ma molto presente sul mercato italiano – iniziò a sfornare campagne creative: da ricordare negli anni ’90 la serie di spot legati alla UEFA Champions League (di cui Heineken era sponsor), come quello in cui un gruppo di uomini fingeva improbabili scuse per non uscire con le fidanzate e restare a casa a guardare la partita con una Heineken in mano. Quegli spot giocavano sugli stereotipi maschili con umorismo e terminarono con il fortunato slogan internazionale “Heineken refreshes the parts other beers cannot reach” (in Italia tradotto come “Heineken, che altro?” in alcune campagne): un claim storico inventato anni prima in Inghilterra, ma che rimase famoso anche da noi.

Insomma, gli anni ’90 mescolarono tradizione e innovazione nella pubblicità birraria. Da una parte i marchi storici come Peroni e Moretti rafforzavano i loro messaggi classici (puntando su heritage, italianità, figure rassicuranti), dall’altra nuovi linguaggi pubblicitari prendevano piede, strizzando l’occhio ai giovani con sarcasmo e creatività. Va detto che in questo periodo iniziava anche la rivoluzione della birra artigianale: la metà degli anni ’90 vide nascere i primi microbirrifici italiani e un movimento craft che nei decenni successivi sarebbe esploso. Queste piccole realtà non avevano ovviamente i mezzi per grandi campagne pubblicitarie televisive, ma si fecero largo con passaparola, eventi locali e l’entusiasmo degli appassionati. Mentre dunque le pubblicità mainstream le facevano i colossi industriali, nel sottobosco cresceva un nuovo modo di intendere la birra. I grandi spot anni ’90 rappresentano un po’ l’ultima fase “innocente” della birra come prodotto di massa indifferenziato: di lì a poco l’avvento delle birre artigianali – con la loro enfasi su qualità, territorio e creatività – avrebbe cambiato il panorama. Ma questa è un’altra storia (e chi vuole approfondire la rivoluzione artigianale degli anni ’90 e oltre può trovare interessanti dettagli su La Casetta Craft Beer Crew). Per ora restiamo focalizzati sugli spot iconici, perché ce ne sono ancora di più recenti da ricordare.

Dal 2000 ai social: campagne moderne e valori

Entrati negli anni 2000, la pubblicità della birra in Italia continua a evolversi, adattandosi ai nuovi media e ai nuovi valori del pubblico. La televisione resta importante – specialmente durante eventi sportivi seguitissimi come i Mondiali di calcio, dove gli spot di birra diventano protagonisti – ma si affacciano prepotentemente Internet e i social network come nuovi canali per raggiungere i consumatori. Le campagne moderne spesso puntano su messaggi valoriali (tradizione, sostenibilità, appartenenza locale) oppure sul marketing virale e interattivo.

Un esempio brillante di pubblicità recente, citato spesso per l’audacia, riguarda Birra Ichnusa. Questo marchio sardo di lunga tradizione (nato nel 1912) ha sempre fatto leva sul proprio legame con la terra d’origine. Nel 2024 Ichnusa ha lanciato una campagna di sensibilizzazione ambientale dal claim provocatorio: “Se deve finire così, non beveteci nemmeno”. In pratica l’azienda ha detto ai consumatori: se avete intenzione di abbandonare le nostre bottiglie nell’ambiente, allora è meglio che non beviate affatto la nostra birra. Un messaggio forte, quasi anti-pubblicitario nella sua formulazione, che però ha colpito nel segno. Manifesti con questa frase sono comparsi nelle città (soprattutto in Sardegna, regione che vanta il più alto consumo pro-capite di birra in Italia), mostrando immagini di bottiglie Ichnusa abbandonate sugli scogli o per strada. La campagna, chiamata “Il Nostro Impegno”, includeva anche azioni concrete: Ichnusa ha organizzato giornate di pulizia delle spiagge con i propri dipendenti e i volontari di Legambiente, e ha promosso il vuoto a rendere per riutilizzare le bottiglie di vetro decine di volte. Questo è un ottimo esempio di come oggi la pubblicità della birra possa andare oltre il prodotto, caricandosi di valori etici: Ichnusa ha legato il suo brand alla tutela dell’ambiente e al senso civico, ottenendo grande eco mediatica e rafforzando l’orgoglio dei sardi verso la loro birra. In un’epoca in cui la sostenibilità è un tema caro a molti (basti pensare alle nuove tendenze della birra artigianale orientate all’ecologia e al consumo responsabile), mosse del genere risultano vincenti e posizionano il marchio come attento e contemporaneo.

Un altro fronte su cui le pubblicità birrarie del nuovo millennio hanno sfondato è quello virale e social. L’abbiamo anticipato con Ceres, che nei 2010s ha fatto scuola su Facebook: ogni occasione era buona per un post graffiante con la bottiglia di Ceres protagonista e una battuta sul fatto del giorno. Ad esempio, durante un’eclissi solare, Ceres pubblicò la foto di un sole nero con la scritta “Tranquilli, era solo una Ceres”, giocando sul doppio senso (in italiano “eclisse” suona come “e Ceres”). Questi contenuti hanno generato migliaia di condivisioni, trasformando la birra Ceres in un lovemark tra i giovani digitali. Anche se non erano spot tradizionali, vale la pena citarli in un discorso sulle campagne iconiche, perché hanno ridefinito il modo di fare pubblicità: interazione immediata, toni informali e tanta creatività low-cost. Molti altri brand hanno seguito questa strada: Peroni ad esempio con campagne come “The Chosen One” (in cui in un video virale un gruppo di amici sceglie chi andrà a prendere le birre dal frigo mettendolo alla prova con sfide assurde), oppure Heineken con operazioni di guerrilla marketing famose in tutto il mondo (celebre quella in cui fecero credere a dei fidanzati di aver vinto biglietti per un concerto di musica classica proprio durante una importante partita di Champions League, per poi sorprendere tutti trasmettendo la partita stessa nel teatro – uno scherzo che divenne un video virale condiviso ovunque). In questo scenario moderno, la birra artigianale e i piccoli birrifici continuano a non investire in spot televisivi, ma sfruttano molto il web: blog, video storytelling e presenza sui social, per raccontare i propri valori. Ad esempio, molti birrifici artigianali italiani promuovono eventi di degustazione dal vivo via Facebook, o realizzano mini-documentari sulle loro produzioni da diffondere su YouTube. Non vedremo facilmente una microbirra locale con uno spot in prima serata TV – troppo costoso – ma su Instagram e nelle community online sanno ritagliarsi il proprio pubblico.

Ritornando ai grandi brand, negli ultimi anni in Italia abbiamo visto spot di birra sempre più curati a livello cinematografico, quasi fossero cortometraggi. Birra Moretti di recente ha lanciato campagne come “La Tavola Moretti” in cui racconta storie di amicizia e convivialità attorno a un tavolo imbandito, strizzando l’occhio alla tradizione italiana della tavola. Peroni Nastro Azzurro ha puntato su immagini internazionali e lifestyle (ad esempio uno spot ambientato sulla costiera amalfitana, con giovani elegantissimi che brindano al tramonto, accompagnato dallo slogan “Vivi ogni momento al meglio”). Questi spot moderni sono spesso accompagnati da hashtag per coinvolgere il pubblico sui social, creando una continuità tra TV e web. Inoltre, grazie allo streaming e a YouTube, molti di questi commercial vengono diffusi online e raggiungono anche chi la TV tradizionale non la guarda più. Un fenomeno interessante è anche la rinascita di alcuni slogan vintage: di recente, ad esempio, la Peroni ha riproposto prodotti con etichette retrò e campagne nostalgiche in cui si riascolta “Chiamami Peroni” come jingle in versione moderna, puntando sull’effetto amarcord. Questo dimostra la la forza di quegli slogan storici: ancora oggi, per attirare l’attenzione, i pubblicitari fanno leva sul patrimonio iconico del passato. Del resto, le birre più celebri al mondo devono molto della loro fama anche alle campagne pubblicitarie di ieri e di oggi – e questo vale tanto in Italia quanto all’estero. Passiamo dunque a dare uno sguardo oltreconfine, per scoprire quali spot birrari hanno lasciato un segno indelebile nell’immaginario globale.

Iconiche pubblicità di birra nel mondo

Se in Italia abbiamo i nostri spot del cuore, a livello internazionale la beer advertising vanta anch’essa una galleria di campagne leggendarie. Alcune pubblicità straniere sono così famose che molti di noi le conoscono pur vivendo lontano dai mercati in cui sono state trasmesse. E spesso, i concept nati all’estero hanno ispirato anche i creativi italiani. Ecco una carrellata di pubblicità di birra iconiche nel mondo:

  • Budweiser – “Wassup?!” (USA, 1999): impossibile non partire da questo spot che divenne un fenomeno culturale globale. Il video mostrava un gruppo di amici al telefono che si salutavano urlando in modo scherzoso “Waaaazzzuuup?!” mentre bevevano Budweiser. Semplicissimo e divertente, lo spot catturò perfettamente lo spirito informale di una serata tra amici. Quel “wassup” venne ripetuto miliardi di volte in tutto il mondo, entrando nel gergo comune per anni. Ancora oggi è considerato un esempio di pubblicità virale ante litteram. Budweiser già qualche anno prima aveva creato personaggi iconici con i suoi Budweiser Frogs – le rane animate che gracchiavano “Bud-weis-er” in uno spot del 1995 – ma Wassup portò il tutto su un altro livello di popolarità.

  • Guinness – “Surfer” (UK, 1999): un vero capolavoro cinematografico in 60 secondi. Questo spot della stout irlandese Guinness mostrava un surfista che attende l’onda perfetta, mentre le onde dell’oceano si trasformavano in cavalli bianchi al galoppo, il tutto montato con musica epica e una voce narrante poetica. Era una metafora visiva del payoff Guinness “Good things come to those who wait” (le cose buone arrivano a chi sa aspettare), alludendo anche al tempo necessario per versare correttamente una Guinness. Questo filmato è spesso citato dai critici come lo spot di birra più bello di sempre, per la sua qualità artistica e l’impatto emotivo. Ha vinto numerosissimi premi ed è entrato nella storia della pubblicità mondiale. Ancora oggi, a oltre vent’anni di distanza, viene proiettato nelle scuole di comunicazione come esempio di storytelling visivo.

  • Carlsberg – “Probably the best beer in the world”: lo slogan “Probably the best beer in the world” (probabilmente la migliore birra al mondo) accompagna la birra danese Carlsberg fin dagli anni ’70, ed è diventato esso stesso iconico. Le pubblicità Carlsberg hanno spesso giocato su questo claim con humor britannico. Ad esempio, in un poster anni ’80 si vedeva un neonato che diceva la sua prima parola: “Carlsberg” – suggerendo ironicamente che se potesse parlare, direbbe che è la migliore birra al mondo. Oppure uno spot recitava: “Carlsberg non fa pub crawl (tour dei pub), ma se lo facesse sarebbe il migliore del mondo”, mostrando un gruppo di amici in un improbabile paradiso birraio. Questo uso astuto del “probabilmente” è ricordato come uno degli slogan più riusciti nella storia della birra, tanto che Carlsberg lo utilizza ancora oggi in chiave moderna.

  • Dos Equis – “The Most Interesting Man in the World” (USA, 2006): la birra messicana Dos Equis divenne famosa a livello globale grazie a questa campagna ironica. Protagonista uno stravagante gentleman di mezza età, presentato come “l’uomo più interessante del mondo”, di cui venivano elencate imprese surreali (es: “I suoi parallelogrammi sono perfetti”, “I polpi raccontano barzellette su di lui”). Alla fine, sorseggiando Dos Equis, consigliava: “Stay thirsty, my friends” (restate assetati, amici miei). Questo personaggio carismatico generò un diluvio di meme su internet e rese Dos Equis un nome noto ben oltre i confini messicani. Ancora oggi frasi derivate da quello spot vengono citate scherzosamente. È un esempio riuscitissimo di come costruire un character memorabile associato al brand.

  • Bud Light – “Dilly Dilly!” (USA, 2017): più recente ma già cult. In una serie di spot ambientati in un medioevo fiabesco, sudditi un po’ sciocchi brindavano gridando “Dilly Dilly!” al re ogni volta che offriva loro una Bud Light. Questo tormentone apparentemente senza senso diventò virale, con la gente che lo ripeteva negli stadi, nei pub, ovunque. Bud Light lo sfruttò al massimo in comunicazioni successive (perfino in occasione del Super Bowl), creando anche il personaggio del Bud Knight – un cavaliere medievale brandizzato Bud Light. “Dilly Dilly” è la prova che a volte uno slogan privo di significato concreto può funzionare benissimo se è orecchiabile e divertente. Ha aggiunto un tassello alla lunga serie di motti birrari indimenticabili.

  • Miller Lite – “Tastes Great, Less Filling” (USA, anni ’70-’80): torniamo indietro perché merita menzione uno slogan che negli Stati Uniti fece scuola. La light beer Miller Lite lanciò già negli anni ’70 una serie di spot in cui personaggi famosi (spesso ex atleti) litigavano scherzosamente sul perché amassero Miller Lite: chi gridava “Tastes great!” (ha un ottimo gusto) e chi ribatteva “Less filling!” (riempie meno, perché leggera). Questo dualismo divenne uno dei jingle più riconoscibili in America, con decine di variazioni sul tema negli anni ’80. La campagna fu così influente che molte altre bevande “light” cercarono di copiarne lo stile. Viene ricordata come la pubblicità che lanciò il segmento delle birre leggere oltreoceano, dimostrando il potere di uno slogan semplice e ripetitivo.

  • Stella Artois – “Reassuringly Expensive” (UK, anni ’90): la birra belga Stella Artois, nel mercato britannico, osò quello che pochi farebbero: costruire una campagna intera sul concetto che la sua birra era “piacevolmente costosa”. Gli spot erano in bianco e nero, girati come se fossero film d’autore ambientati in epoche passate, con trame raffinate e quasi prive di dialoghi. Solo alla fine appariva la scritta “Stella Artois. Reassuringly Expensive.”. Questi mini-film (ricordiamo The Pilot, Ice Skating Priests, Devil’s Island tra i titoli) affascinavano il pubblico al punto che molti li aspettavano in TV come fossero appuntamenti cinematografici. L’idea che “costa tanto quindi deve essere buona” veniva proposta con humour sottile e grande eleganza visiva. Anche questa campagna ha vinto premi e viene spesso citata tra le migliori di sempre nel settore birra, per la sua originalità.

Come si vede, ogni paese ha le sue pubblicità di birra cult, ma tutte condividono la capacità di andare oltre il prodotto: hanno creato catchphrase, personaggi o immagini simboliche che restano impresse. Che si tratti di far ridere (Budweiser, Dos Equis), di emozionare (Guinness) o di stupire (Stella), le migliori campagne hanno in comune una forte dose di creatività e di storytelling. E spesso hanno beneficiato di palcoscenici importanti: negli USA, ad esempio, alcuni degli spot suddetti debuttarono durante il Super Bowl, l’evento televisivo dell’anno, dove la gara tra pubblicitari è serratissima. Non a caso, molte delle pubblicità più esilaranti e memorabili mai viste in TV sono proprio spot di birra del Super Bowl. In definitiva, la pubblicità della birra a livello mondiale ha saputo regalare momenti di intrattenimento puro agli spettatori, rafforzando al contempo l’identità dei brand. E anche se ogni mercato ha le sue peculiarità (ad esempio in Germania le birre hanno comunicazioni più legate alla tradizione brassicola, in Giappone gli spot sono spesso stravaganti e sopra le righe, etc.), certi meccanismi sono universali: una buona birra nello spot è sempre fresca e con una schiuma invitante (vi siete mai chiesti perché la birra fa la schiuma così abbondante nei bicchieri pubblicitari?), gli amici non mancano mai, e alla fine viene voglia di brindare insieme.

L’eredità di queste pubblicità

Cosa rimane oggi di tutte queste pubblicità storiche e iconiche della birra? Moltissimo, a ben vedere. Gli slogan e i personaggi creati decenni fa continuano a vivere nell’immaginario collettivo: c’è chi non ha mai bevuto una Peroni ma sa perfettamente chi era la “bionda” che diceva sarò la tua birra, oppure giovani che imitano Wassup senza magari sapere da dove provenga. Queste campagne hanno contribuito a plasmare la cultura pop: hanno influenzato modi di dire, ispirato parodie in film e serie TV (pensiamo a quante volte nelle serie televisive si vedono citazioni di famosi spot di birra, segno che quelle idee sono diventate di dominio pubblico) e spesso hanno anche indirizzato i gusti dei consumatori. Per anni, in Italia, birra chiara industriale ha fatto rima con Peroni o Moretti proprio grazie al martellamento pubblicitario che le ha rese le birre italiane più famose. E quando poi è arrivata la birra artigianale a portare più scelta, il terreno era già fertile: il pubblico italiano conosceva concetti come “birra doppio malto” o “birra cruda” anche perché la pubblicità li aveva sdoganati. In qualche modo, gli spot hanno svolto anche una funzione educativa, insegnando termini e nozioni (se pensiamo ad Arbore e “birra e sai cosa bevi”, oppure agli spot recenti che spiegano l’importanza di servire la birra nel bicchiere giusto). Certo, lo scopo primario era e resta vendere il prodotto, ma le vie del marketing – soprattutto nel mondo brassicolo – sono state spesso creative e mai puramente commerciali.

Oggi la sfida per le aziende è fare i conti con un pubblico molto più frammentato: non basta più un Carosello in prima serata per raggiungere tutti. Bisogna essere ovunque, dalla TV ai social, e mantenere una coerenza di messaggio. Per questo vediamo i brand storici recuperare i propri asset comunicativi (mascotte, jingle vintage) adattandoli ai nuovi canali, e al contempo sviluppare nuove idee per le giovani generazioni. Il confine tra pubblicità e intrattenimento è sempre più sottile: alcune pubblicità di birra odierne sono veri e propri mini-show (basti guardare gli spot Heineken con protagonista James Bond, che sembrano scene extra dei film). Il grande merito delle campagne passate è aver gettato le basi di questa fusione tra marketing e racconto. Un consumatore coinvolto emotivamente da una storia ricorderà meglio quella marca – i pubblicitari lo sanno da sempre. Ed è quello che hanno fatto con le campagne iconiche della birra: venduto sì un prodotto, ma soprattutto evocato uno stile di vita, creato un sorriso, suscitato un’emozione.

Inoltre, queste pubblicità hanno lasciato in eredità veri e propri case study nel mondo del marketing. Ogni pubblicitario conosce la storia di “Chiamami Peroni” o di “Wassup” e ne trae lezioni su come creare engagement. Le aziende brassicole attuali, comprese quelle artigianali, studiano queste campagne per capire come costruire il proprio brand. E mentre le piccole realtà puntano più sul territorio e sul passaparola, i grandi brand sanno che una buona campagna può ancora fare la differenza anche nelle vendite (pensiamo a quanto uno slogan azzeccato possa spingere la gente a ordinare proprio quella birra al pub).

Infine, dal punto di vista culturale, possiamo dire che gli spot di birra hanno contribuito a normalizzare la birra come bevanda sociale in Italia. Se oggi fa parte della nostra quotidianità, lo dobbiamo anche al fatto che per decenni l’abbiamo vista associata a momenti positivi e di festa sullo schermo. In un certo senso, la birra italiana moderna – intesa come fenomeno sociale – è figlia anche della sua comunicazione pubblicitaria. E guardando al di fuori, vediamo come ogni paese abbia usato la pubblicità per intrecciare la birra con la propria identità nazionale: dall’Irlanda che tramite Guinness celebra la pazienza e la convivialità, al Messico che con Dos Equis gioca sull’autoironia, fino al Giappone dove gli spot Asahi e Kirin sono coloratissimi e celebrano il lavoro di squadra e l’energia. La birra è un prodotto universale, ma viene raccontata in modi diversi a seconda dei popoli – e scoprire questi spot è anche un modo di conoscere culture diverse (non a caso esistono blog e libri dedicati alle leggende sulla birra e alle pubblicità vintage di tutto il mondo).

In conclusione, le pubblicità storiche e iconiche della birra non sono solo un repertorio di slogan e jingle simpatici: rappresentano un patrimonio di creatività e costume. Chi ama la birra probabilmente porta nel cuore almeno uno di questi spot – magari ricorda con affetto il primo che lo ha fatto sorridere – e ancora oggi, in un’epoca in cui possiamo comprare birra online con un clic e abbiamo a disposizione centinaia di birre diverse, quegli spot continuano a esercitare fascino. Sono parte integrante del viaggio della birra attraverso il tempo. Dopotutto, aprire una birra e brindare con gli amici è anche rivivere un po’ di quelle atmosfere. E chissà, tra le nuove campagne che nascono sui social o in TV oggi, potrebbe esserci la “prossima” pubblicità iconica di cui parleremo tra vent’anni. Nel frattempo, meditate gente, meditate… e cheers!

Domande frequenti sulla pubblicità della birra (FAQ)

D: Qual è la pubblicità di birra italiana più famosa di sempre?

R: Molti concordano sul fatto che la campagna “Chiamami Peroni, sarò la tua birra” sia la più famosa in Italia. Lanciata nei Caroselli di fine anni ’60 con la modella Solvi Stubing, è diventata un vero tormentone nazionale. Anche “Birra, e sai cosa bevi” di Renzo Arbore negli anni ’80 è molto celebre, così come gli spot con il “Baffo Moretti” negli anni ’90. In generale, Peroni e Moretti hanno firmato gli spot più radicati nell’immaginario italiano.

D: Perché nelle vecchie pubblicità italiane della birra c’erano sempre donne bionde?

R: L’uso della figura femminile (in particolare bionda) come personificazione della birra era una scelta di marketing del tempo. Negli anni ’60 la birra chiara (detta bionda) era una novità da promuovere: associare una modella bionda alla “bionda” bevanda era un gioco di parole visivo. Inoltre, le attrici attiravano l’attenzione del pubblico maschile, all’epoca principale consumatore di birra. Col tempo questo approccio è cambiato: oggi sarebbe considerato sessista. Già negli anni ’70 infatti ci furono polemiche e i produttori adattarono la comunicazione, dando in seguito spazio anche ad altri temi (amicizia, famiglia, ecc.) e coinvolgendo entrambi i generi in ruoli meno stereotipati.

D: Quali slogan pubblicitari di birra sono entrati nel linguaggio comune?

R: Oltre a “Chiamami Peroni…” e “Birra, e sai cosa bevi” già citati, possiamo ricordare “Chi beve birra campa cent’anni” (antico slogan degli anni ’30, ancora oggi ripetuto scherzosamente), “Wassup?!” della Budweiser (diventato saluto informale tra i giovani a fine anni ’90), “Probably the best beer in the world” di Carlsberg (spesso citato anche ironicamente in altri contesti), “Dilly Dilly” di Bud Light e “Stay thirsty, my friends” di Dos Equis. Queste frasi hanno travalicato la pubblicità, diventando modi di dire o meme riconoscibili da molti.

D: Una birra artigianale può permettersi campagne pubblicitarie iconiche come quelle dei grandi brand?

R: In genere no, almeno non sugli stessi media tradizionali. I birrifici artigianali hanno budget molto inferiori rispetto ai colossi industriali, quindi difficilmente vedremo uno spot TV di una piccola birra artigianale in prima serata. Tuttavia, possono creare campagne creative su scala ridotta – ad esempio sui social network, su blog di settore, tramite eventi locali sponsorizzati. Alcune birre artigianali sono diventate icone attraverso il passaparola e la reputazione online più che con la pubblicità tradizionale. Detto ciò, se una birra artigianale viene acquisita da un grande gruppo o cresce molto, potrebbe investire in pubblicità più ampia. Ma la comunicazione delle craft beer di solito punta più su storytelling, degustazioni e community di appassionati che su spot patinati.

D: Qual è considerato lo spot di birra più bello di tutti i tempi a livello mondiale?

R: È difficile darne uno solo, ma spesso gli esperti citano lo spot “Surfer” di Guinness (1999). Realizzato dall’agenzia AMV BBDO e diretto da Jonathan Glazer, mostra surfisti che cavalcano onde trasformate in cavalli bianchi ed è accompagnato dallo slogan “Good things come to those who wait”. Questo spot è stato pluripremiato e in molti ranking internazionali viene al primo posto per qualità cinematografica e impatto emotivo. Altri contendenti al titolo di “miglior spot” sono “Wassup” di Budweiser, la serie “Reassuringly Expensive” di Stella Artois e alcune pubblicità Stella Artois. Ma Guinness Surfer è quello che ricorre più spesso in cima alle classifiche di settore.

3 commenti

  1. Articolo fantastico! Mi ha fatto tornare in mente gli spot di Peroni con Solvi Stubing, che nostalgia! Non sapevo però di tutte queste campagne internazionali, davvero interessante.

  2. Grande Ceres e il loro marketing! Sempre un piacere leggere di queste storie, soprattutto quelle legate alla birra artigianale. Continuate così!

  3. Francesca Conti

    Non avevo idea che la campagna di Ichnusa fosse così recente e con un messaggio così forte! Bravi per aver raccolto tutte queste informazioni, un viaggio nella storia della birra davvero ben scritto.

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