- Il mercato della birra artigianale in Italia
- Statistiche globali birra artigianale
- Trend di crescita 2020-2025
- Impatto economico birra artigianale
- Preferenze consumatori birra artigianale
- Consumi e stili popolari craft
- Distribuzione e vendite online craft
- Sostenibilità birra artigianale
Il mercato della birra artigianale in Italia: produzione, consumo e birrifici
In Italia il settore della birra artigianale ha registrato una crescita notevole nell’ultimo decennio, sia in termini di produzione che di numero di birrifici. Secondo i dati Unionbirrai, nel 2022 si contavano 1.326 birrifici attivi (+104% rispetto a sette anni prima) con 9.612 addetti diretti impiegati. La produzione nazionale totale di birra (inclusa industriale) ha raggiunto 17,6 milioni di ettolitri nel 2021, mentre la sola birra artigianale rappresenta una quota ancora piccola ma in crescita. Si stima infatti che nel 2023 la produzione di birra artigianale in Italia sia stata di circa 550.000 ettolitri, in aumento del 10% rispetto al 2022.
Anche i consumi sono in espansione: nel 2022 il consumo nazionale di birra (tutto il mercato) ha toccato un record storico di oltre 35 litri pro capite (circa 2 miliardi di litri totali). Il 2023 ha visto un lieve calo a 36,1 litri pro capite (da 38,2 l nel 2022, -5,8%) mantenendo comunque i consumi ai livelli pre-pandemia più alti di sempre. La birra artigianale resta una nicchia ma sta guadagnando terreno: la sua penetrazione ha raggiunto circa il 4% del consumo totale di birra nel Paese. In altre parole, le birre artigianali coprono oggi una piccola frazione del volume, ma esercitano un’influenza crescente sul mercato e sul palato dei consumatori italiani.
Per quanto riguarda il numero di birrifici artigianali, l’Italia è ai primi posti in Europa. Negli ultimi anni il conteggio comprende sia microbirrifici con impianto proprio sia beer firm (marchi senza impianto produttivo). Considerando i soli produttori indipendenti con impianto, nel 2024 si è superata quota 1.000 tra microbirrifici e brewpub attivi. Questo dato conferma l’espansione del movimento birrario artigianale sul territorio: basti pensare che dieci anni fa i birrifici artigianali erano circa un terzo degli attuali. Da notare anche la crescita dei birrifici agricoli, aziende agricole che producono birra con materie prime proprie: erano solo 80 realtà nel 2015 ma sono diventate 290 nel 2022 (+267%), arrivando a rappresentare il 22% di tutti i birrifici italiani. Questa sotto-categoria ha quasi quadruplicato il numero di produttori in sei anni, riflettendo l’interesse per birre a km 0 e legate alla filiera agricola.
Di seguito una tabella riassume alcuni numeri chiave della birra artigianale in Italia:
Indicatore (Italia) | Valore (aggiornato al 2023) |
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Birrifici artigianali attivi | 1.326 (anno 2022) – di cui >1.000 con impianto proprio (2024) |
Produzione birra artigianale | ~550.000 hl (2023, stimata); ~500.000 hl (2022) |
Consumo pro capite di birra (totale) | 36,1 litri (2023) – record 38,2 litri nel 2022 |
Quota mercato birra artigianale | ~4% del consumo di birra (2023) |
Occupati nel comparto craft | ~9.600 addetti diretti (2022) |
Fatturato settore birra (totale) | ~9,5 miliardi € (2022, incl. industriale) |
In termini di consumi e preferenze, in Italia le birre a bassa fermentazione (lager chiare industriali) dominano ancora il mercato generale (circa l’82% del volume consumato nel 2023), mentre le birre “speciali” – categoria che include sia birre artigianali sia importate o specialità di fabbrica – costituiscono oltre il 15%. Le birre artigianali rientrano in questa categoria e, pur essendo una piccola fetta in volume, sono ormai parte integrante della cultura birraria nazionale. Secondo Assobirra, il consumo di birra in Italia è pienamente entrato nelle abitudini alimentari, segno che anche la birra di qualità trova uno spazio crescente sulle tavole e nei locali.
Statistiche globali e principali mercati della birra artigianale
A livello internazionale, il fenomeno craft beer è esploso negli ultimi 10-15 anni, con migliaia di nuovi birrifici in tutto il mondo. Si stima che il mercato globale della birra artigianale valesse circa 130,4 miliardi di dollari nel 2023. Le previsioni indicano un’ulteriore crescita significativa, con un valore atteso intorno ai 293 miliardi di $ entro il 2032 (CAGR ~9,4%). In un’altra analisi, focalizzata sul 2024-2034, si riporta un valore di circa 94 miliardi $ nel 2024 con prospettive di raddoppio entro il 2034. Questi numeri confermano che la birra artigianale è ormai un segmento importante dell’industria mondiale della birra, rappresentando tra il 15% e il 20% del valore globale del mercato birrario.
Per quanto riguarda la diffusione geografica, l’Europa è attualmente il continente leader per quota di mercato craft, grazie a una radicata cultura birraria e alla varietà di stili tradizionali e moderni prodotti. In Europa si contano circa 10.000 birrifici complessivi (dato 2022), di cui la stragrande maggioranza di piccole dimensioni. Anche il Nord America è un attore chiave: gli Stati Uniti in particolare hanno il mercato craft più maturo e innovativo, con quasi 9.800 birrifici artigianali operativi nel 2024 – un numero impressionante se si pensa che nel 2010 erano poco più di 1.700.
Tra i principali paesi produttori di birra artigianale per numero di birrifici troviamo:
- Stati Uniti: ~9.600 craft breweries attive (2024), che fanno degli USA il paese con più birrifici al mondo. La produzione craft americana nel 2024 è stata di 23,1 milioni di barili (circa 27 milioni di ettolitri), pari al 13,3% del volume di birra consumato negli USA. In termini di valore, il segmento craft rappresenta il 24,7% della spesa birraia statunitense.
- Regno Unito: conta circa 1.800-2.000 microbirrifici attivi (dati 2022), anche se il mercato ha mostrato segni di saturazione e recenti chiusure dovute a crisi economiche. La quota di mercato della craft beer nel Regno Unito è stimata intorno al 5-6% in volume (dato indicativo), con una forte tradizione di real ale e microbirrifici locali.
- Germania: pur essendo tra i maggiori produttori di birra al mondo, la Germania ha storicamente meno birrifici artigianali “moderni” a causa della forte presenza di birrifici tradizionali. Si contano comunque oltre 1.500 birrifici totali. Secondo dati europei, attorno al 2021 c’erano circa 890 microbirrifici in Germania in aggiunta ai birrifici industriali. La cultura tedesca sta abbracciando gradualmente stili craft (IPA, porter, ecc.), ma la penetrazione resta bassa rispetto al mercato birra totale interno.
- Francia: è sorprendentemente in vetta in Europa per numero di birrifici attivi. Nel 2021 si contavano già circa 2.300 birrifici (piccoli e medi) in Francia – il che la pone al primo posto in Europa per numero di produttori. La Francia ha visto un boom di microbirrifici artigianali in ogni regione, trainati dalla domanda di prodotti locali.
- Italia: come visto, con oltre 1.300 birrifici (6° posto in Europa) l’Italia è tra i paesi più dinamici nel craft, pur avendo volumi di produzione inferiori ad altri mercati.
- Altri paesi degni di nota: il Belgio ha una lunga tradizione birraria con molti piccoli produttori (spesso storici monastici o famigliari), e pur non avendo numeri assoluti altissimi, il suo contributo culturale alle birre speciali è enorme. La Spagna e i paesi scandinavi stanno crescendo come numero di microbirrifici. La Svizzera e i Paesi Bassi vantano anch’essi un’alta densità di birrifici artigianali, tanto che l’Italia si colloca immediatamente dopo Francia, UK, Germania, Svizzera e Olanda per numero di birrifici craft in Europa.
Oltre all’Occidente, la birra artigianale sta prendendo piede anche in altre regioni. In Asia-Pacifico si registra la crescita più rapida: l’Est Asia nel 2024 rappresenta già il 23,7% del mercato mondiale della craft beer in valore, trainata da Cina, Giappone e Corea del Sud. Paesi come la Cina hanno visto nascere centinaia di microbirrifici nelle principali città, rispondendo a una nuova classe media interessata a prodotti premium e sapori diversi dal solito. Il Giappone, con la liberalizzazione delle licenze negli anni ‘90, ha anch’esso sviluppato un vivace panorama di birrifici artigianali (il mercato giapponese crescerà a un tasso del 7,3% annuo fino al 2034 secondo analisi). Anche in America Latina (es. Brasile, Argentina) c’è fermento nel segmento craft, sebbene parta da basi limitate.
Dal punto di vista dei consumi pro capite di birra (tutti i tipi), i paesi storicamente ai vertici – come Repubblica Ceca (~135 litri/anno pro capite), Austria (~100 L), Germania (~90 L) – vedono per ora una quota artigianale relativamente piccola all’interno di questi consumi abbondanti, poiché la maggior parte è coperta da lager tradizionali. Al contrario paesi con consumo medio più basso, come l’Italia (~36 L) o gli USA (~75 L), hanno una percentuale di mercato craft più elevata o in rapida crescita, segno che la domanda di birre di qualità sta penetrando anche mercati meno “birrofili” in termini quantitativi. Negli Stati Uniti, come detto, la craft beer copre oltre il 13% del volume consumato (~es. il doppio rispetto alla quota in UK o in molti paesi europei) e circa un quarto della spesa totale in birra, evidenziando come il consumatore americano sia disposto a pagare di più per prodotti artigianali.
In sintesi, i principali mercati per la birra artigianale sono il Nord America e l’Europa (che insieme dominano il settore), ma l’Asia sta rapidamente colmando il divario. La mappa dei birrifici artigianali nel mondo conta decine di migliaia di unità: più di 20.000 secondo le stime recenti, considerando circa 10.000 in Europa e quasi 10.000 negli USA, a cui si aggiungono migliaia di realtà minori distribuite in altri continenti. La produzione complessiva di birra (industriale + craft) a livello mondiale si attesta intorno a 1,97 miliardi di ettolitri nel 2023 – in leggero calo rispetto al periodo pre-pandemico – di cui la fetta craft è ancora sotto il 5% in volume, ma in costante espansione.
Trend di crescita dal 2020 al 2025
Il periodo 2020-2025 è stato molto particolare per il mercato della birra artigianale, circa da fasi alterne dovute ad eventi eccezionali (pandemia, crisi economiche) ma con un trend di fondo ancora positivo. Ecco un’analisi dell’evoluzione in questi anni:
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2020 – La pandemia e la resilienza del craft: La crisi del COVID-19 con i lockdown ha colpito duramente i consumi fuori casa, fondamentali per i microbirrifici. Molti pub e birrifici sono stati costretti a chiudere temporaneamente. Ciononostante, il numero di birrifici artigianali ha continuato a crescere in molti paesi anche nel 2020. In Europa, ad esempio, il conteggio dei microbirrifici è aumentato nonostante la pandemia, arrivando a 6.305 unità nel 2021 (era 5.884 nel 2019). Ciò testimonia la resilienza e la fiducia degli operatori nel potenziale di lungo termine del settore. Molti birrifici hanno reagito adattandosi: potenziando la vendita diretta in bottiglia, le consegne a domicilio e l’e-commerce (che nel 2020 ha visto un boom iniziale per sopperire alle alle chiusure dei bar). Tuttavia, la contrazione generale del mercato birrario nel 2020 è stata forte: in UE le vendite di birra sono scese da 322 milioni di hl (2019) a 297 milioni nel 2020. La birra artigianale ha subito un contraccolpo, ma ha anche guadagnato nuova visibilità online e nella grande distribuzione in quegli mesi difficili.
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2021 – Ripresa graduale: Con l’allentarsi delle restrizioni, il 2021 ha segnato una ripresa dei consumi di birra. In Italia la produzione e il consumo hanno ricominciato a salire e nuovi birrifici hanno continuato ad aprire. A livello europeo, nel livello 2021 le vendite di birra sono risalite a 301 milioni di hl. Molti festival birari e fiere sono tornati in scena verso fine anno verso. In termini di trend, il 2021 ha visto le birre artigianali riconquistare i propri spazi: i consumatori, dopo mesi di limitazioni, erano desiderosi di novità e di tornare nei taproom e nei pub. La crescita nel numero di birrifici artigianali non si è arrestata: in Italia si contavano ormai oltre 1.000 produttori e la curva di nuove aperture ha compensato le poche chiusure. Anche negli USA il numero totale di birrifici ha continuato a salire nel 2021, sfiorando i 9.000.
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2022 – Anno record e boom post-pandemico: Il 2022 è stato un anno di forte rimbalzo. In Italia si sono toccati i massimi storici di consumo di birra (38,2 L pro capite) e il numero di birrifici artigianali ha raggiunto il suo picco (1.326 imprese censite). Lo scenario di fine 2022 era molto positivo: consumi in crescita, record di produzione e un rinnovato interesse del pubblico per eventi e birre nuove. Tutti gli indicatori nel 2022 sono risultati in forte aumento: ad esempio il mercato birrario UE ha venduto 313 milioni di hl, recuperando quasi ai livelli pre-Covid. Anche le esportazioni italiane di birra artigianale sono salite di circa il +20% nel 2022, segno che le craft italiane piacciono sempre più anche all’estero. In sintesi, il TIN 2022 ha rappresentato per molti birrifici artigianali un anno di “piena ripartenza”.
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2023 – Rallentamenti e nuove sfide: L’anno 2023 è stato più complesso e “di assestamento”. Diversi fattori globali – inflazione elevata, crisi energetica post-conflitto in Ucraina, materie prime rincarate – hanno messo sotto pressione i birrai artigianali. In Italia, dopo un buon avvio, le vendite hanno iniziato a calare: nei primi 8 mesi 2023 le vendite di birra (tutti i tipi) di birra erano in contrazione del -6,6% rispetto all’anno precedente. Assobirra nell’ottobre 2023 ha confermato un calo vertiginoso di vendite ed export nei mesi precedenti. A fine anno si prospettava quindi una contrazione significativa, pur rimanendo i volumi su livelli storicamente elevati (il consumo 2023 in Italia, ~21,2 milioni hl, eguaglia comunque il record pre-COVID del 2019). La stretta economica ha avuto conseguenze anche sulle imprese: alcuni microbirrifici, soprattutto i più fragili, hanno chiuso o ridotto l’attività. Fortunatamente non c’è stata un’“ecatombe” di chiusura come in altri paesi – nel Regno Unito, negli USA e in parte in Belgio molti locali craft hanno cessato l’attività nel 2023 – ma il ritmo di nuove aperture in Italia ha rallentato. Negli USA per la prima volta dal 2005 il numero di birrifici craft è diminuito nel 2023: si sono registrati 434 nuovi aperture ma ben 501 chimiche, con un saldo netto di -67 birrifici (9.730 nel 2023 scesi a 9.612 nel 2024). Questa inversione negli USA segnala che il mercato sta entrando in una fase di maturità e consolidamento, dopo anni di crescita esplosiva. In Italia il 2023 ha fatto da stress test: l’onda lunga dell’inflazione ha ridotto il potere d’acquisto dei consumatori, che hanno tagliato sulle spese voluttarie come le craft beer costose. Molti birrifici hanno dovuto aumentare i prezzi (imbalzati i costi di energia, bottiglie, materie prime fino a +50% su alcuni input) e ciò ha ulteriormente frenato la domanda. Nonostante tutto, il settore ha mostrato resilienza: la maggior parte dei birrifici ha tenuto duro, alcuni sono addirittura cresciuti nel loro mercato locale, puntando sulla fedeltà della clientela e sull’innovazione di prodotto. Nel complesso, il 2023 si è chiuso con numeri in calo rispetto al 2022, ma comunque superiori al 2019, segno che la tendenza di lungo periodo resta positiva anche se con una battuta d’arresto congiunturale.
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2024 e prospettive 2025 – Verso una stabilizzazione: I primi dati del 2024 indicano segnali di stabilizzazione e lieve ripresa. Secondo Coldiretti, nei primi 9 mesi del 2024 gli acquisti di birra in Italia sono cresciuti del +2% a volume rispetto all’anno precedente (dopo il calo del 2023), un segnale di inversione di tendenza per il comparto. Le proiezioni per fine 2024 indicano vendite totali ancora leggermente inferiori ai picchi del 2022, ma il “fondo” del ciclo potrebbe essere stato superato. Assobirra parla di “luce alla fine del tunnel” e prevede una graduale ripresa grazie anche a costi in calo e al ritorno di eventi e turismo. A livello internazionale, il 2024 segna un assestamento: negli USA la produzione craft 2024 è calata di un ulteriore –4%, ma il valore delle vendite è salito del +3% grazie all’aumento dei prezzi medi. Insomma, il settore sta imparando a crescere non più solo in volume ma in valore e qualità. Entro il 2025 ci si attende una nuova fase di crescita più sostenibile: i birrifici che hanno superato la tempesta” del 2020-2023 si trovano più solidi e strutturati, pronti a cogliere opportunità (come canali distributivi nuovi, export e turismo birrario). Le stime di mercato al 2025 infatti rimangono ottimistiche: la domanda globale di birra craft beer continua ad espandersi in nuovi segmenti e regioni, con un CAGR a due cifre atteso su scala mondiale. Si può quindi parlare di un settore che, pur avendo rallentato il tasso di crescita rispetto agli anni 2010, mantiene una crescita strutturale sopra la media del comparto bevande, spinto dall’innovazione e dall’entusiasmo dei consumatori per prodotti autentici.
In sintesi, tra il 2020 e il 2025 la birra artigianale è passata attraverso una fase di boom, una crisi improvvisa, una robusta ripresa e un successivo assestamento. I trend di crescita di lungo periodo rimangono positivi, ma con dinamiche più selettive: si assiste a un consolidamento dove i birrifici più solidi e creativi continuano a prosperare, mentre alcuni attori minori faticano. La craft beer revolution è entrata nella maturità, ponendo nuove sfide ma anche modi per chi saprà innovare.
Impatto economico: fatturato e occupazione del comparto
Il comparto della birra artigianale, pur rappresentando una nicchia in volume, genera un impatto economico importante in termini di fatturato, indotto e posti di lavoro.
In Italia, l’intera filiera della birra (inclusa quella industriale) vale circa 9,5 miliardi di euro di fatturato (dato 2022). La quota specifica attribuibile alla birra artigianale non è quantificata esattamente da fonti ufficiali, ma considerando che copre ~4% dei volumi e che hanno un prezzo medio superiore alle birre industriali, si può stimare indicativamente un peso sul fatturato del settore tra il 5% e il 10%. Ci sono quindi suggerimenti che il giro d’affari delle craft beer in Italia possa collocarsi nell’ordine di qualche centiaio di milioni di euro annui. Ad esempio, un’analisi indicava 826 milioni di euro come fatturato aggregato di alcuni importanti vicini italiani nel 2022 (anche se questo dato potrebbe riferirsi solo a un sottoinsieme di aziende o gruppi). In ogni caso, la tendenza del fatturato è stata in crescita fino al 2022, con rallentamenti nel 2023 per via della diminuzione dei consumi a volume. Da notare che l’aumento dei prezzi (+5-8% medio nel 2023) ha in parte compensato la minor domanda, portando comunque a un leggero incremento del valore delle vendite di craft beer in alcuni canali.
Sul fronte occupazionale, i microbirrifici italiani danno lavoro a migliaia di persone tra birrai, personale di taproom/staff di pub, distribuzione, ecc. Come riportato, Unionbirrai stima 9.612 addetti diretti impiegati nei birrifici artigianali nel考え di al 2022, in crescita del +22% rispetto a sette anni prima. Questo dato include i birrai, i mastri birrai, il personale amministrativo e commerciale dei birrifici craft. Se si considera anche l’indotto (fornitoriżyw di materie prime, distributori, locali specializzati, turismo birrario), l’impatto occupazionale è ancora maggiore. Il settore artigianale ha creato nuove professionalità (figure come sommelier della birra, consulenti brassicoli, guide di birrifici) contribuendo alla diversificazione economica in diverse regioni, spesso in aree rurali o zone industriali riconvertite.
A livello internazionale, negli Stati Uniti la birra artigianale è un vero motore economico: nel 2024 il valore retail della craft beer ha raggiunto i 28,9 miliardi di dollari (+3% rispetto all’anno precedente), pari al circa il 25% del fatturato della birra USA. L’occupazione nel settore craft americano ha toccato le 197.372 unità nel 2024, in aumento del +3% sul 2023. Questi quasi duecentomila addetti includono non solo i birrai ma anche moltissimi lavoratori impiegati nelle taproom e brewpub: infatti la crescita dell’occupazione negli USA è trainata proprio dall’espansione di punti vendita diretti (locali annessi ai birrifici) e dalle attività di ospitalità. In media, ogni microbirrificio americano crea 10-20 posti di lavoro diretti, numeri confrontabili con la realtà italiana (dove molte imprese sono piccole e hanno organici ridotti, ma altre con annesso pub possono occupare decine di persone).
Un altro aspetto economico rilevante è il contributo fiscale e l’attenzione delle istituzioni: in Italia, ad esempio, sono state introdotte agevolazioni sulle accise per i piccoli birrifici artigianali. Dal 2023, i birrifici sotto i 10.000 hl annui godono di una riduzione del 50% dell’accentisa, quelli fino a 30.000 hl del 30% e fino a 60.000 hl del 20%. Questo taglio fiscale, sostenuto da associazioni come Coldiretti, è stato fondamentale per alleggerire i costi e favorire lo sviluppo di una comercial e brassicola Made in Italy al 100%. Lo Stato riconosce quindi il valore del comparto in termini di sviluppo economico locale e come sbocco per le produzioni agricole (orzo da maltare, luppolo italiano in crescita, ecc.).
Da menzionare anche l’indotto nel settore del turismo birrario e degli eventi: fiere come il Beer&Food Attraction di Rimini, concorsi come Birra dell’Anno di Unionbirrai, e i numerosi beer festival locali attracciono ogni anno migliaia di visitatori, generando entrature per hotel, ristoranti e territori. Il cosiddetto craft beer tourism è un trend in espansione a livello globale: sempre più persone viaggiano per visitare birrifici, partecipare a degustazioni e percorsi birrai, contribuendo all’economia delle destinazioni. Secondo analisti, questo fenomeno del turismo birrario sta dando “una spinta decisa” al mercato craft, creando un flusso costante di appassionati pronti a scoprire e assaporare nuove birre direttamente nei luoghi di produzione.
In definitiva, l’impatto economico della birra artigianale si misura non solo in litri prodotti, ma anche in ricchezza generata e posti di lavoro creati. Pur rappresentando ancora una porzione limitata del mercato, il comparto craft mostra un moltiplicatore economico significativo: sostiene agricoltori (per orzo e luppolo), fabbricatori di impianti e attrezzature, distributori specializzati, il settore hospitality e persino il marketing digitale (molti birrifici investono in e-commerce e comunicazione online). Le previsioni fino al 2025-2030 indicano che il fatturato globale della craft beer continuerà a crescere più velocemente della birra tradizionale, offrendo opportunità di sviluppo e occupazione soprattutto per le realtà più intraprendenti e orientate all’export.
Preferenze dei consumatori ed evoluzione della domanda
Le abitudini di consumo nel mondo della birra hanno visto un cambiamento notevole con l’affermarsi delle artigianali. I consumatori odierni sono sempre più alla ricerca di qualità, diversità e identità territoriale nei prodotti che scelgono. La crescita del movimento craft si fonda infatti su una domanda di birra “differente” rispetto a quella industriale standard: sapori nuovi, ingredienti particolari, metodi produttivi tradizionali o innovativi.
Una caratteristica chiave della birra artigianale è la diversità di stili e sapori. In Italia, ad esempio, i birrifici craft propongono un ventaglio amplissimo: si va dalle IPA anglo-americane alle Saison di ispirazione belga, dalle Pils tedesche reinterpretate alle birre acide affinate in botte, fino a creazioni con ingredienti locali unici (birre alla castagna affumicata ligure, birre al modo Carnaroli piemontese, birre agli agrumi di Sicilia, birre alla canapa, ecc.). Il consumatore italiano negli anni ha sviluppato un palato più curioso e raffinato, diisposto a provare specialità altamente distintive. Non a caso, la scelta della birra come bevanda è divenuta “sempre più consapevole” e orientata alla ricerca di particolarità secondo Coldiretti. Parallelamente, anche a livello internazionale, l’attenzione si è spostata verso birre dal forte carattere: ad esempio, analisi di mercato segnalano che gli stout artigianali (scure corpose) stanno guadagnando popolarità nel mondo grazie ai loro sapori ricchi di caffè, cioccolato e malti tostati, capaci di conquistare i consumatori che cercano profondità di gusto.
Un aspetto interessante è l’evoluzione dei gusti con il passare del tempo. Se un decennio fa lo stile simbolo della rivoluzione craft era l’IPA super luppolata e amara, oggi assistiamo a un ritorno alle origini. I cosiddetti “stili quotidiani” a bassa gradazione e di facile bevuta stanno tornando in voga: birre chiare a bassa fermentazione (lager artigianali, pilsner) e classiche ale di tradizione britannica (bitter, mild, porter) stanno guadagnando spazio nelle produzioni dei birrifici. Nel 2023 in Italia si è confermato questo trend, con un consolidamento delle birre a bassa fermentazione e un aumento considerevole di birre semplici ma ben fatte per il consumo quotidiano. Ciò risponde al desiderio dei consumatori di avere sì birre particolari, ma anche bevibili e adatte all’uso sociale di tutti i giorni, non solo “da degustazione”. Molti birrai stanno dunque ampliando le proprie linee con lager artigianali, blonde ale leggere, pilsner dry-hopped e altre tipologie meno estreme, accanto alle immancabili IPA e birre speciali.
Parallelamente non si ferma l’innovazione su fronti più spinti: i birrai artigiani continuano a sperimentare con nuovi ingredienti e tecniche. Ad esempio, si sono visti nuovi prodotti per la luppolatura (come estratti aromatici tipo Phantasm, o nuove varietà di luppolo innovative come il YCH 303) che diversi birrifici hanno adottato nelle loro ricette nel 2023. Questa spinta creativa mantiene alta l’attenzione degli appassionati, sempre in cerca della next big thing. Un altro trend recente è l’uso di lieviti non convenzionali (Brettanomyces, lieviti kveik norvegesi, ecc.) e fermentazioni miste per creare birre sour e wild dal profilo complesso. Sebbene le birre acide e selvagge rimangano un segmento di nicchia, rappresentano un elemento importante per quella fascia di consumatori connoisseur alla ricerca di esperienze gustative estreme.
La domanda dei consumatori di birra artigianale è diventata anche più trasversale dal punto di vista demografico. Se inizialmente il movimento craft coinvolgeva soprattutto un pubblico giovane-maschio appassionato, oggi in molti mercati il profilo si è ampliato: millennial ma anche generazione X, un pubblico sia maschile sia femminile, con buon potere d’acquisto e interesse per l’enogastronomia. Uno studio globale evidenzia che la fascia 21-35 anni costituisce la base di consumatori più ampia per la craft beer, guidata dalla curiosità verso sapori nuovi e dalla ricerca di autenticità. Questa generazione mostra anche una forte attenzione ai valori (origine locale, sostenibilità, salute), che influenza le loro preferenze birrarie.
Un elemento emerso di recente è proprio l’attenzione alla salute e benessere, che ha aperto la strada a nuovi prodotti come le birre artigianali a bassa gradazione o analcoliche. In passato la birra analcolica era dominio quasi esclusivo delle multinazionali, ma oggi anche i microbirrifici stanno sperimentando ricette alcohol-free di qualità. La crescita delle birre artigianali analcoliche è ancora contenuta nei numeri, ma significativa in termini percentuali: in Italia le birre sotto 0,5% hanno raggiunto l’1,86% dei consumi totali nel 2023, in leggero aumento (+4,5%) sul 2022. Nel mercato globale, le analisi prospettano che le birre craft “low/no alcol” possano arrivare a coprire una fetta importante in futuro (alcuni report estremi indicano anche un potenziale 30-35% di quota in prospettiva), spinte dai consumatori attenti alla salute ma che non vogliono rinunciare al gusto di una buona birra. Tuttavia, va notato che in Italia per ora le produzioni analcoliche artigianali sono aumentate senza raggiungere numeri eccezionali – secondo il censimento di Whatabeer, nel 2023 sono state prodotte 6 nuove birre italiane appartenenti a questa categoria. Dunque il segmento è in crescita ma resta di nicchia, segno che probabilmente la birra analcolica artigianale avrà bisogno di più tempo per affermarsi pienamente.
Un altro comportamento di consumo evolutosi è la modalità di fruizione della birra artigianale. Negli ultimi anni si è rafforzato il cosiddetto drink local: molti appassionati preferiscono consumare la birra direttamente alla fonte (in taproom, birrifici aperti al pubblico) o in locali specializzati, cercando un’esperienza oltre che la bevanda. Nel canale Ho.Re.Ca. (bar, pub, ristoranti) la presenza di craft beer è diventata comune, e anzi i locali che offrono spine artigianali di qualità spesso riescono ad attrarre una clientela fidelizzata. Durante la pandemia c’è stato un passaggio forzato verso il drink at home, ma già dal 2022 la gente è tornata numerosa agli eventi e nei locali: si pensi che i festival birrari nel 2022-23 hanno goduto di un grande seguito di pubblico, confermando la voglia delle persone di ritrovarsi di nuovo dal vivo accompagnando il tutto con ottima birra. Questo aspetto esperienziale è cruciale per la birra artigianale: non è solo un prodotto da bere, ma viene vissuto come un momento di socialità, cultura e scoperta.
Interessante osservare come, secondo un sondaggio condotto da Unionbirrai, gli italiani si dividano nelle abitudini di consumo: circa il 41% si dichiara consumatore abituale di birra, e tra questi solo il 12% beve esclusivamente birra industriale, mentre ben il 29% consuma sia birra industriale che artigianale. Questo significa che quasi tre consumatori di birra su dieci hanno inserito stabilmente le craft nella propria dieta alcolica, alternandole o affiancandole ai marchi commerciali. È un dato che evidenzia come la birra artigianale non sia più percepita come una curiosità per pochi, ma stia entrando nelle scelte di una fetta significativa di pubblico. La sfida per i birrifici artigianali sarà ora quella di convertire gli occasionali in fedeli e ampliare ancora la base di consumatori, magari puntando su prodotti più accessibili (in termini di gusto e prezzo) senza tradire la qualità.
Un ulteriore cambiamento nei comportamenti d’acquisto è la crescente importanza del canale diretto: molti consumatori preferiscono acquistare birra artigianale direttamente dal produttore (in birrificio, tramite i loro shop online, o attraverso abbonamenti di beer box), sia per sostenere le piccole realtà sia per garantirsi birra fresca. Contestualmente, il tradizionale canale GDO (supermercati) ha iniziato lentamente ad aprirsi alla craft beer, inserendo linee di birre speciali sugli scaffali: questo consente a un pubblico più ampio di avvicinarsi alle artigianali anche durante la spesa quotidiana, contribuendo a “normalizzarne” la presenza.
In sintesi, l’evoluzione della domanda di birra artigianale vede consumatori più informati, esigenti e curiosi. Parole chiave sono varietà (assaggiare stili nuovi), qualità (ingredienti migliori, produzione attenta), esperienza (consumo come momento sociale e culturale) e valori (sostegno al locale, sostenibilità, salute). I birrifici artigianali di successo stanno intercettando questi trend, modulando la propria offerta: da un lato birre più semplici e session per allargare il pubblico, dall’altro edizioni limitate, collaborazioni tra birrai (nel 2023 le collaboration beer hanno rappresentato il 19% delle nuove birre lanciate in Italia) e prodotti unici per mantenere alto l’interesse degli appassionati hardcore. La capacità di storytelling (raccontare la storia del birrificio, del territorio e delle ricette) è diventata parte integrante del prodotto birra, influenzando le decisioni d’acquisto di una generazione di consumatori che cerca autenticità in ciò che beve.
Consumi pro capite e stili più popolari nel segmento craft
I consumi pro capite di birra artigianale sono una funzione sia della tradizione birraria di un paese sia della penetrazione del movimento craft. Come accennato, i paesi dall’elevato consumo storico di birra tendono ad avere una quota artigianale minore, mentre in nazioni con minore consumo generale la birra craft conquista più facilmente spazio tra i consumatori appassionati. Ad esempio, l’Italia con ~36 litri procapite annui ha un consumo totale modesto rispetto ai paesi del Nord Europa, ma circa il 4% di quel consumo è artigianale. In Repubblica Ceca, con oltre 130 L procapite, la quota di microbirrifici incide forse per l’1-2%. Negli USA il consumo è attorno a 75-80 L procapite, e la birra craft ne rappresenta circa 10 L (il 13% in volume) per abitante. Questi dati suggeriscono ampi margini di crescita: man mano che il gusto del pubblico si sposta verso prodotti di qualità, la torta dei consumi potrebbe mantenere lo stesso volume ma con una fetta artigianale più grande.
Interessante è anche confrontare i consumi pro capite totali di birra in alcuni paesi (dato 2022/23) e stimare la porzione craft:
- Italia: 36 litri/persona/anno (birra totale), di cui ~1,5 litri artigianale (4%).
- Germania: ~90 litri totali; birra craft stimata <5% → forse ~4 L procapite craft.
- Belgio: ~72 litri totali; alta presenza di birre speciali belghe (non tutte “craft” in senso stretto, ma tradizionali) → la distinzione craft vs tradizionale è sfumata.
- Regno Unito: ~70 litri totali; craft share ~5% → ~3-4 L procapite craft.
- USA: ~75 litri totali; craft 13% → ~10 L procapite craft.
- Cina: ~30 litri totali; craft <1% → <0,3 L procapite craft (ma in crescita nelle città principali).
Queste cifre mostrano come l’Italia, pur non essendo un paese di bevitori di grandi volumi, abbia ormai raggiunto un consumo di birra artigianale procapite simile o superiore a nazioni birraie più blasonate, segno della vitalità del movimento craft italiano.
In termini di stili di birra artigianale più popolari, negli anni si sono osservati diversi trend. Globalmente, gli stili luppolati (in primis le IPA – India Pale Ale) hanno dominato la scena craft nell’ultimo decennio. Le IPA e derivati (APA, Session IPA, Double IPA, New England IPA ecc.) sono spesso i best-seller per molti microbirrifici, grazie al loro profilo aromatico intenso di luppolo che ha fatto innamorare una generazione di beer geek. Anche in Italia, per lungo tempo l’IPA è stata un simbolo del movimento artigianale. Tuttavia, come si è indicato sopra, di recente c’è stata una diversificazione:
- Le birre a lagher (pilsner, helles, bock chiare) stanno avendo un forte ritorno. Molti birrai italiani ed europei, raggiunta la padronanza su ale complesse, hanno deciso di misurarsi con le lager tradizionali, applicando standard elevati di qualità. Il risultato è un aumento di pilsner artigianali e altre basse fermentazioni ben fatte sul mercato, molto apprezzate dai consumatori per la bevità.
- Le birre di frumento (weiss, blanche, saison) e le birre acide (gose, berliner weisse, lambic-style) costituiscono un segmento di appassionati. Le blanche/witbier artigianali, spesso arricchite con spezie locali oltre al classico coriandolo e curaçao, piacciono a chi cerca qualcosa di fresco e diverso. Le sour beer rimangono di nicchia ma sono state sdoganate da alcuni festival e locali specializzati anche in Italia.
- Le birre scure: stout e porter artigianali stanno in crescita di apprezzamento. In particolare, gli Imperial Stout invecchiati in botte o arricchiti con caffè, cacao, vaniglia sono diventati pezzi da collezione per i beer geek. Anche stout più leggere all’azoto (nitro stout) stanno comparendo. Come detto, a livello mondiale gli stout risultano molto popolari per la loro complessità, e i birrifici assecondano questa tendenza.
- Le birre luppolate moderne: oltre alle IPA classiche, spopolano le New England IPA (NEIPA), dalla tipica torbidità e aroma fruttato, e le Double IPA molto alcoliche e intense. Queste categorie guidano spesso le classifiche di gradimento tra gli appassionati più giovani. Non a caso molti birrifici artigianali italiani emergenti puntano su NEIPA e IPA ben fatte per farsi un nome.
- Le birre sperimentali: includono tutto ciò che esce dagli schemi, dalle birre con ingredienti esotici (es. aggiunte di frutta, mosto d’uva per creare Italian Grape Ale, spezie particolari) alle birre affinate in botti di vino, whisky, rum (barrel-aged). Queste produzioni speciali sono poche in termini di volumi, ma hanno grande risonanza e spesso vincono premi nelle competizioni, contribuendo alla costruzione della reputazione del birrificio.
È utile guardare qualche statistica se disponibile: il portale Whatabeer, ad esempio, analizzando le nuove birre lanciate in Italia nel 2023, raggruppa i vari stili in macro-tipologie. Dalle sue elaborazioni risultano come categorie più rappresentate le “birre luppolate” (prevalentemente IPA di varie declinazioni) e le “birre speciali” intese come tutte quelle non riconducibili a stili classici (sour, fruit beer, spiced, ecc.). Le tradizioni birrarie classiche (belga, tedesca, britannica) sono ben presenti ma frammentate in molte sottocategorie. Inoltre, i luppoli più usati dai birrifici italiani nel 2023 includono sia varietà di tendenza (es. Citra, Mosaic, Cascade) sia qualche varietà emergente e locale, moda che i birrai seguono da modi.
Una curiosità: sono in aumento anche le collaborazioni tra birrifici (le cosiddette colleboration beers). Come citato, quasi il 19% di tutte le nuove birre italiane del 2023 è stato prodotto in collaborazione tra due o più birrai. Questo fenomeno, comune all’e’stero da tempo, sta moda anche da noi: due mastri birrai uniscono creatività e forze per creare birre uniche, spesso in edizione limitata. Ciò non solo arricchisce l’offerta di stili particolari, ma crea anche engagement nella comunità di appassionati (che fanno a gara per accaparrarsi le collaboration brew più rare). Le collaborazioni sono anche un modo per contaminare stili e tradizioni di regioni diverse: ad esempio, birrifici italiani che collaborano con colleghi americani o europei portano idee nuove da fuori e viceversa esportano il know-how italiano.
In conclusione, i “numeri birra artigianale” sul fronte dei consumi e degli stili ci parlano di un mercato vivace e cangiante. Il consumo pro capite di birre craft cresce lentamente ma costantemente, man mano che più persone le scoprono e le integrano nelle proprie abitudini. Sul fronte stili, l’IPA rimane regina in molti mercati, ma deve ora condividere il palco con un poker di tipologie: lager artigianali ben fatte, stout corpose, birre acide creative e una miriade di sottostili che soddisfano praticamente ogni palato. Questa evoluzione riflette una domanda dei consumatori sempre più segmentata, dove ognuno può trovare la propria birra ideale. Per i birrifici artigianali la sfida è bilanciare tradizione e innovazione: offrire da un lato prodotti costanti e di qualità per fidelizzare (il una buona pilsner o una APA facile da bere) e dall’altro sfornare novità periodiche per mantenere alta l’attenzione di chi cerca continuamente qualcosa di nuovo.
Distribuzione e vendite di vendita
La distribuzione delle birre artigianali segue canali in parte different rispetto alla birra industriale. Storicamente, le craft beer hanno sotto spazio soprattutto nei canali specializzati e nel consumo fuori casa (pub, birrerie artigianali, beershop, ristoranti). La presenza nella Grande Distribuzione Organizzata (GDO) è stata inizialmente limitata.
Inizia, i dati Unionbirrifici 2022 mostrano che la GDO incideva solo per solo l’1,39% delle vendite dei birrifici artigianali. Si tratta di una percentuale molto bassa: significa che meno del 2% della birra craft prodotta finiva sugli scaffali di supermercati e ipermercati. La vendita online (e-commerce) rappresentava un valore simile, circa l’1,32%, segno che nemmeno il canale web – pur cresciuto durante la pandemia – ha ancora sfondato davvero nel post-pandemia. In effetti, dopo il boom delle consegne a domicilio nel 2020, molti consumatori sono tornati a acquistare di persona o a bere fuori, e l’e-commerce della birra artigianale ha faticato a decollare stabilmente.
Il grosso delle vendite per i parobirrifici italiani rimane dunque il “canale corto” e quello tradizionale HoReCa: circa il punto 40,5% della produzione artigianale va direttamente in mescita presso esercizi al consumo finale (pub, locali, ristoranti). A questo si aggiunge la vendita diretta in birrificio, alle fiere o tramite beershop specializzati. I fusti rappresentano quasi la metà (47,7%) della forma di confezionamento, confermando l’importanza della spina e del consumo. Le bottiglie restano rilevanti (circa 43,5% delle vendite), mentre le lattine – nonostante il trend globale che le vede in ascesa – coprono solo il 7% del formato utilizzato. Questo perché in Italia la lattina sta iniziando a diffondersi solo negli ultimi anni per le artigianali, ma è probabile che la sua quota aumenterà (molti birrifici stanno investendo in linee di produzione in lattina per la comodità e la migliore conservazione).
Negli Stati Uniti, dove il mercato è più maturo, la distribuzione si è evoluta: molti birrifici hanno puntato sulle taproom (spazi di mescita di proprietà) come fonte principale di reddito. Questo modello “direct to consumer” ha fatto il che una buona fetta delle vendite craft avvenga on-site. Nel 2024, nonostante un calo dei volumi, la vendita al dettaglio diretta (pub e taproom) negli USA è stata così forte da far crescere il valore di mercato del +3%. Seegni che i consumatori prediligono i bere direttamente dal produttore.
L’e-commerce di birra artigianale merita un approfondimento: durante il lockdown del 2020 c’è stato un’esplosione di negozi online, consegne a domicilio e servizi di delivery alcolici. Molti birrifici si sono attrezzati con shop propri o appoggiandosi a piattaforme. Questo ha in parte salvato gli incassi in quel frangente. Tuttavia, barriere normative (spedire alcol non è immediato in alcuni paesi), costi di spedizione elevati e preferenze d’hanno acquisto hanno limitato la crescita a lungo termine. In Italia, come visto, l’inline copre circa l’1-2% delle vendite craft, e sta stentando a decollare nel postpandemia. Negli USA la situazione è simile: la vendita diretta spedita al consumatore è regolamentata diversamente da stato a stato e non universalmente permessa, il che frena un mercato unico nazionale per l’e-commerce di birra. In generale, pare che il consumatore di birra artigianale preferisca acquistare di persona (per potersi fare consigliare, vedere il prodotto, evitare costi di spedizione, ecc.) oppure bersi la birra immediatamente al pub. L’online resta un canale utile soprattutto per raggiungere appassionati fuori zona che cercano birre introvabili localmente.
Va detto però che il retail moderno sta dimostrando interesse crescente: le catene di supermercati hanno iniziato a dedicare piccoli spazi a birre artigianali locali o a marchi craft acquisiti dalle multinazionali. Le birre speciali in GDO sono infatti “in grande ascesa” e offrono potenzialità notevoli anche per i birrifici artigianali. Il report Unionbirrai sottolinea che la GDO è uno degli spazi commerciali da tenere in massima considerazione per cogliere la domanda in crescita, sia in termini qualitativi che quantitativi. In pratica, supermercati e iper stanno diventando più attenti al segmento premium della birra, e chi saprà entrarvi con i propri prodotti potrà raggiungere un pubblico molto più vasto. Certo, questo comporta compromessi (grandi volumi, margini ridotti, necessità di continuità produttiva) che molti microbirrifici non sono in grado o non desiderano affrontare. Ma altri, magari medio-grandi, stanno già sfruttando questo canale.
Un canale di vendita ibrido che sta emergendo è quello delle subscription box o degli abbonamenti: servizi che spediscono mensilmente selezioni di birre artigianali al cliente. Questo modello, diffuso nel mondo anglosassone, in Italia è ancora agli inizi ma alcuni beershop online lo propongono, soddisfacendo così l’esigenza di scoperta continua degli appassionati hardcore.
In termini di strategie distributive, per i birrifici artigianali una delle priorità dichiarate è migliorare la rete commerciale. Molti piccoli produttori infatti faticano a raggiungere sbocchi di vendita ampi: spesso operano a livello locale o regionale. Si sta assistendo a una maggiore professionalizzazione: nascita di distributori specializzati craft, consorzi di birrifici per unire le forze nella logistica, accordi con distributori di bevande tradizionali interessati ad avere etichette artigianali in portafoglio. La reticenza iniziale dei birrifici verso il mondo della distribuzione organizzata (temendo che snaturi il prodotto o imponga sconti eccessivi) sta lasciando spazio a un approccio più aperto e strategico. Del resto, portare la birra artigianale su scaffali e in canali mainstream è un passaggio obbligato se si vuole far crescere la quota di mercato oltre la nicchia degli appassionati.
Da segnalare, infine, l’impatto delle nuove tendenze di consumo sui canali: l’ascesa di alternative come i cocktail pronti (RTD) e gli hard seltzer sta creando competizione nelle vendite nei locali notturni e bar. Inoltre, la crescita delle birre analcoliche artigianali farà emergere nuovi circuiti distributivi (ad esempio l’inserimento di birre craft analcoliche anche nei contesti finora preclusi alla birra, come mense aziendali, palestre, ecc.). I dati on-premise 2024 dagli USA mostrano che mentre la birra mantiene una quota dominante del 40,5% nelle vendite di bar e ristoranti, i ready-to-drink e le birre analcoliche stanno rapidamente guadagnando punti. Ciò spinge i birrifici artigianali a diversificare le proprie offerte (alcuni introducono linee di soft drink artigianali, kombucha, ecc.) e a curare di più l’esperienza nei propri locali (offrendo cibo, serate a tema, ambiente family-friendly) per allargare la platea di clienti.
Riassumendo, la vendita della birra artigianale avviene principalmente tramite canali dedicati e diretti: locali specializzati e vendita in birrificio coprono la fetta maggiore. La vendita online e la GDO rappresentano ancora una minima parte in Italia (entrambe ~1-2%), ma sono viste come aree di opportunità future se adeguatamente sviluppate. Negli anni 2020-2025 stiamo assistendo ad un avvicinamento graduale tra mondo craft e canali generalisti, con reciproco interesse. Per i consumatori questo significa più facilità nel reperire le birre artigianali (anche al supermercato sotto casa o con un clic online), mentre per i birrifici significa possibilità di crescita ma anche la necessità di strutturarsi meglio in termini di distribuzione, logistica e capacità produttiva.
Sostenibilità e produzione biologica nella birra artigianale
La sostenibilità è diventata un tema centrale anche nel settore della birra artigianale. Molti birrifici craft nascono con una forte attenzione all’impatto ambientale, al territorio e alla qualità delle materie prime, spesso anticipando trend green che solo di recente hanno coinvolto anche i grandi produttori. Vediamo quali sono gli aspetti principali di sostenibilità e birra artigianale biologica.
Materie prime locali e filiera corta: Un numero crescente di birrifici artigianali cerca di rifornirsi da fornitori locali per malto d’orzo, grano e luppolo. In Italia oggi quasi la metà dei birrifici (46%) si approvvigiona di materie prime locali. Questo non solo riduce l’impatto dei trasporti, ma valorizza le coltivazioni italiane. Negli ultimi anni è rinato l’interesse per la coltivazione del luppolo in Italia: si è passati da zero a circa 100 ettari coltivati a luppolo lungo la penisola. Anche la superficie dedicata all’orzo da birra è in aumento (circa 30.000 ettari, producendo ~83.000 tonnellate di orzo maltabile, che copre però ancora solo il 40% del fabbisogno – il resto si importa). Questa spinta verso la filiera brassicola italiana è sostenuta da progetti come il Consorzio di tutela della birra artigianale italiana e finanziamenti dal PNRR per sviluppare luppoleti e malterie locali. L’obiettivo è arrivare un giorno a birre 100% italiane, luppolo compreso.
Birrifici agricoli e biologici: Come già menzionato, i birrifici agricoli sono quelle aziende che coltivano almeno il 51% delle materie prime in proprio, spesso con metodi sostenibili. Ad oggi in Italia ci sono circa 150 birrifici agricoli (erano 130 nel 2022, +15%). Queste realtà sono spesso all’avanguardia nella sostenibilità: molte praticano agricoltura biologica o integrata, usano energie rinnovabili in azienda, riciclano gli scarti agricoli come mangime o compost. La produzione dei birrifici agricoli rappresenta una quota crescente del totale artigianale (circa 75.000 hl nel 2023, +15% sull’anno prima, pari a ~14% della produzione craft italiana). Ciò indica che sta prendendo piede un modello di birrificio fortemente legato alla terra, a cavallo tra agricoltura e artigianato. Dal punto di vista normativo, l’Italia riconosce queste imprese e le incentiva con agevolazioni, proprio perché integrano filiera agricola e birraria. Molti birrifici agricoli sono anche certificati biologici o in conversione.
Certificazione biologica: Le birre biologiche sono prodotte con ingredienti da agricoltura biologica certificata. Nel mondo craft italiano esistono varie etichette bio, sebbene non siano la maggioranza. Alcuni birrifici hanno fatto del biologico la loro bandiera, come ad es. Baladin con la sua linea Bio. Anche tra i vincitori di concorsi nazionali compaiono birre bio: ad esempio nel 2023 al concorso Birra dell’Anno una blanche biologica (White Farm Bio del birrificio IBeer) si è aggiudicata premi di categoria. Questo denota una crescente attenzione anche della critica verso il binomio qualità e sostenibilità. Sul mercato internazionale, in particolare in Europa, sta crescendo il segmento delle birre artigianali biologiche per venire incontro a consumatori eco-consapevoli. Paesi come la Germania e la Francia hanno diverse birre artigianali bio in commercio (spesso vendute nei circuiti equo-solidali o nei negozi bio). Resta comunque un segmento di nicchia, poiché le materie prime bio hanno costi maggiori e le rese possono essere inferiori, impattando sul prezzo finale.
Pratiche sostenibili in produzione: Al di là delle materie prime, i birrifici artigianali adottano sempre più misure per ridurre l’impronta ecologica. Ad esempio:
- Recupero e riutilizzo dell’acqua di processo (la birra è molto idro-esigente: servono mediamente 4-6 litri d’acqua per 1 litro di birra; i birrifici più virtuosi stanno abbassando questo rapporto riciclando l’acqua di raffreddamento o trattandola per altri usi).
- Installazione di impianti fotovoltaici e solari termici in birrificio per autoprodurre energia elettrica e calore. Ciò è favorito anche da incentivi e dalla disponibilità di spazi (molti microbirrifici hanno tetti o terreni utili per pannelli solari).
- Uso di confezionamenti ecologici: alcuni birrifici stanno sostituendo gli imballaggi in plastica (es. anelli per lattine) con materiali compostabili o a base di fibre naturali. Altri incoraggiano il vuoto a rendere per bottiglie e fusti, oppure usano fusti in PET riciclabile al posto di quelli di acciaio (che però hanno pro e contro in termini ecologici).
- Ottimizzazione dei consumi energetici e termici: coibentazione degli ambienti, recupero del calore dalla caldaia di ammostamento, utilizzo di caldaie ad alta efficienza. Alcuni birrifici all’avanguardia iniziano a sperimentare con impianti elettrici alimentati da energie rinnovabili invece che a gas.
- Riduzione degli sprechi e economia circolare: quasi tutti i birrifici artigianali già da tempo donano o vendono le trebbie esauste (le trebbie di malto rimaste dopo l’ammostamento) come mangime per animali o come ingrediente per prodotti da forno ad alto contenuto di fibre. C’è chi utilizza i lieviti esausti come fertilizzante. Alcuni progetti innovativi trasformano gli scarti di luppolo e malto in biomassa combustibile o bio-plastica. Queste pratiche riducono la quantità di rifiuti organici e creano valore aggiunto.
- Sostenibilità sociale: non va dimenticata, infine, la dimensione sociale della sostenibilità. Molti birrifici artigianali sono strettamente legati alla comunità locale: creano luoghi di aggregazione (taproom), partecipano a eventi benefici, favoriscono un consumo responsabile e moderato. Educare il consumatore a bere meno ma meglio (valorizzando la qualità) è di per sé un messaggio di sostenibilità sociale e sanitaria.
Tornando alla birra artigianale biologica, i dati aggregati su quanta parte della produzione craft sia certificata bio non sono facilmente reperibili. Tuttavia, si può affermare che è un fenomeno in crescita lenta ma costante. In Italia potrebbe essere ancora sotto il 5% della produzione artigianale totale. In alcuni paesi del Nord Europa, dove la cultura bio è più diffusa, la percentuale è più alta. Ad esempio, alcuni birrifici danesi e svedesi producono solo birre biologiche e riescono a intercettare una nicchia di mercato disposta a pagare un premium price per questo.
Dal punto di vista del marketing, la sostenibilità è diventata un ottimo argomento di comunicazione per i birrifici craft. Termini come birra artigianale a km 0, birra green, birra agricola compaiono spesso nelle descrizioni, e molti produttori raccontano con orgoglio le proprie iniziative (dall’orto sinergico accanto al birrificio, all’uso di soli ingredienti italiani, all’adesione a progetti di riforestazione per compensare la CO2). Questo aiuta a differenziare ulteriormente la birra artigianale da quella industriale agli occhi dei consumatori: chi beve craft sa di sostenere realtà più piccole che generalmente hanno un approccio più etico e sostenibile.
In conclusione, la sostenibilità ambientale e la produzione biologica rappresentano un capitolo sempre più importante nel racconto della birra artigianale. Numerosi dati birra artigianale confermano questa direzione: l’aumento dei birrifici agricoli (+267% in pochi anni), l’uso crescente di materie prime locali (46% dei birrifici), la presenza di birre bio premiate e la riduzione dell’impatto attraverso innovazioni di processo. Il movimento craft, nato anche come reazione a prodotti massificati, sposa in modo naturale i valori della sostenibilità e del rispetto per il territorio. Possiamo aspettarci che da qui al 2025 e oltre, sempre più birre artigianali saranno green sotto vari aspetti – un’evoluzione che incontrerà il favore di un pubblico sensibile e contribuirà a rendere questa bevanda ancora più in armonia con l’ambiente e la società.
Articolo molto dettagliato, mi ha sorpreso il numero di birrifici agricoli in Italia!
Interessante il focus sulla sostenibilità, speriamo che più birrifici adottino pratiche green.