Classifica Migliori Double IPA Internazionali

Le Double IPA (o Imperial IPA) rappresentano uno degli stili più iconici e amati dagli appassionati di birra artigianale moderna. In questa classifica esploreremo le migliori Double IPA internazionali, ossia quelle birre luppolate ad alta gradazione che hanno saputo distinguersi nel panorama mondiale per intensità, equilibrio e riconoscimenti ottenuti. L’articolo è rivolto al pubblico italiano di beer geek e appassionati, con particolare attenzione alla reperibilità di queste birre nel nostro mercato. Come sempre, ogni classifica riflette un punto di vista soggettivo: l’obiettivo non è decretare una verità assoluta, ma offrire spunti autorevoli e motivati su quali siano le Double IPA artigianali da provare almeno una volta, tenendo conto sia dei pareri degli esperti sia delle preferenze della community internazionale.

Lo stile Double IPA nasce negli Stati Uniti a metà anni ’90 come evoluzione “dopata” delle già intense India Pale Ale americane. Il termine è spesso usato intercambiabilmente con Imperial IPA. Caratteristiche distintive sono un grado alcolico superiore (solitamente 7.5-9.5% vol), un profilo aromatico estremamente luppolato (con note che vanno dagli agrumi e resina delle versioni West Coast fino a frutta tropicale e succo nelle versioni New England), e un corpo maltato sufficiente a bilanciare l’amaro prorompente dei luppoli. Le Double IPA, per la loro carica aromatica e gustativa, hanno conosciuto un boom globale negli ultimi 15 anni, diventando per molti birrifici artigianali il banco di prova per dimostrare la propria maestria con il luppolo.

Stilare una classifica delle migliori Double IPA internazionali significa confrontarsi con vere e proprie leggende della birra moderna: etichette che spesso hanno lunghe code per essere acquistate, che gli appassionati si scambiano nei beer mail, e che hanno fatto incetta di premi nei concorsi più prestigiosi. Significa anche considerare diversi sotto-filoni: dalle Double IPA “classiche” di scuola californiana, molto amare e limpide, alle nuove Double New England IPA torbide e succose, passando magari per interpretazioni europee degne di nota. Abbiamo cercato di bilanciare tutti questi aspetti, appoggiandoci a fonti certificate – dai risultati dei World Beer Awards alle classifiche di siti specializzati e alle opinioni di birrai professionisti – per creare una top list credibile e motivata.

Come sempre, il gusto personale gioca un ruolo: c’è chi preferirà la pulizia amara di una West Coast DIPA, chi la dolce esplosione fruttata di una Hazy DIPA, chi magari l’eleganza di una Double belga d’ispirazione diversa. Nessuna classifica potrà accontentare tutti, ma speriamo di offrire una panoramica delle eccellenze riconosciute, con lo spirito umile di chi è pronto a rivedere le posizioni man mano che nuove birre eccezionali emergeranno. Lungi da noi voler “incoronare” definitivamente qualcuno: prendete questa lista come un itinerario da seguire con la pinta in mano, alla scoperta di alcuni capolavori del luppolo.

Indice dell’articolo

Pliny the Elder – Russian River Brewing (USA)

Nome leggendario nel mondo della birra artigianale, Pliny the Elder è spesso considerata la Double IPA per antonomasia a livello mondiale. Prodotta dal birrificio Russian River in California sin dal 2000, fu una delle prime Imperial IPA moderne e ancora oggi resta un termine di paragone imprescindibile. Pliny the Elder (intitolata a Plinio il Vecchio, il naturalista romano che scrisse della luppolatura della birra) si presenta come una DIPA in stile West Coast pura: limpida, di colore dorato carico, con schiuma fine e persistente.

Al naso è un’esplosione di luppolo “classico”: pungenti note resinose di pino e resina si fondono con agrumi (pompelmo rosa, scorza d’arancia) e un sottofondo floreale. Non mancano sfumature di frutta tropicale (mango maturo, ananas) grazie all’uso massiccio di varietà di luppolo americane aromatiche. In bocca l’attacco è sorprendentemente equilibrato: un accenno di malto caramello leggero prepara il terreno a un’ondata amara decisa ma raffinata. Il corpo è medio, l’attenuazione elevata (Pliny risulta piuttosto secca), la carbonazione media. Il finale è lunghissimo, con un retrogusto agrumato-resinoso pulitissimo e persistente, senza astringenze. La pericolosità sta nella bevibilità: nonostante i suoi 8% vol circa, è estremamente facile da bere – definita da molti “pericolosamente bevibile”.

Pliny the Elder ha vinto innumerevoli premi. È stata per anni al vertice della top 50 di BeerAdvocate e RateBeer, e figure di spicco come il giudice Charlie Papazian l’hanno più volte eletta miglior birra d’America. Ancora nel 2023, a distanza di oltre vent’anni, viene costantemente inclusa tra le migliori IPA doppie: ad esempio, occupa stabilmente le posizioni di testa nelle classifiche per punteggio ponderato su BeerAdvocate. La sua fama ha generato un culto: all’epoca delle prime release c’erano code fuori dai negozi in California per accaparrarsela fresca. Oggi Russian River l’ha resa disponibile tutto l’anno, ma rimane difficilissima da trovare fuori dagli USA.

Reperibilità in Italia: Purtroppo la Pliny the Elder non viene importata ufficialmente in Italia. Qualche bottiglia può apparire tramite canali paralleli o aste private, ma l’ostacolo principale è la freschezza: è una birra da bere freschissima (entro 90 giorni dall’imbottigliamento, come indicato in etichetta “Drink fresh, do not age”). Se siete fortunati, potreste incontrarla in qualche beer firm internazionale o festival dove Russian River partecipa – o, più realisticamente, dovrete recarvi negli Stati Uniti. Alcuni beershop online europei raramente ottengono stock molto limitati, ma a costi elevati.

Perché è un riferimento: Pliny unisce potenza luppolata a equilibrio. Il birraio Vinnie Cilurzo (pioniere delle DIPA) ha calibrato la ricetta in modo quasi scientifico. Ogni sorso incarna l’ideale di West Coast DIPA: dry, aroma intenso, amaro netto ma elegante. Molte DIPA venute dopo hanno cercato di emularla; poche ci sono riuscite pienamente. Tra queste spicca ad esempio la Pliny for President, una versione speciale occasionalmente prodotta da Russian River con dry-hopping ancora maggiore, ma la Elder resta la preferita di tanti.

Curiosità: esiste anche la Pliny the Younger, versione Triple IPA (~10.25% vol) prodotta solo una volta l’anno e disponibile solo alla spina nelle taproom Russian River per un paio di settimane. Anche quella ha la sua leggenda (alcuni la considerano la birra più rara e ambita al mondo), ma rimane un’esperienza per pochi fortunati. La “Elder” invece è la gloria più accessibile – relativamente parlando – ed è quella che ha cambiato per sempre il panorama delle birre luppolate.

Heady Topper – The Alchemist (USA)

Se Pliny the Elder è la regina delle West Coast DIPA, Heady Topper del birrificio The Alchemist (Vermont) è l’imperatrice delle East Coast/New England DIPA. Questa birra, lanciata nel 2003 e resa iconica attorno al 2011-2013, è spesso accreditata come la capostipite delle NEIPA torbide e succose. Presentata in lattina argento da pinta (con la celebre istruzione “Drink from the can!” per conservare gli aromi luppolati), Heady Topper ha generato un culto quasi pari a Pliny, ma sulla costa opposta degli Stati Uniti.

Si tratta di una Double IPA di circa 8% vol, di colore aranciato pallido e volutamente opalescente (The Alchemist non la filtra e la lattina agitata presenta sedimenti di luppolo e lievito). Il profilo aromatico è intensissimo: un tripudio di frutta tropicale (ananas, mango, papaya), frutta a nocciolo (pesca matura, albicocca) e agrumi dolci, con un sottofondo floreale e di pino appena accennato. Questo bouquet quasi “juicy” deriva dall’uso abbondante di luppoli americani aromatici aggiunti in late e dry hopping, combinato a un ceppo di lievito inglese che rilascia esteri fruttati complementari. Al palato, Heady Topper ha corpo medio, una carbonazione morbida e una consistenza quasi vellutata data dall’avena nell’impasto. Il gusto segue l’aroma: sembra di mordere un frutto tropicale, con dolcezze e note succose in primo piano. L’amaro c’è (circa 100 IBU dichiarati), ma risulta sorprendentemente nascosto dalla bomba aromatica e dal corpo rotondo: lo percepite solo nel finale, come nota pulente ma non astringente. Il grado alcolico è incredibilmente ben mascherato.

Heady Topper è stata la birra più votata su BeerAdvocate per diverso tempo e ancora oggi figura stabilmente tra le top 5 al mondo nel suo stile. Ha ottenuto valutazioni entusiastiche da praticamente ogni critico: “una delle Double IPA più importanti degli ultimi decenni” secondo VinePair, “quasi perfetta combinazione di intensità e bevibilità” dicono i birrai che l’hanno provata. In effetti, nel consolidare il modello NEIPA, ha aperto la strada a centinaia di imitazioni. Anche il suo creatore, John Kimmich, è diventato una figura di spicco nel mondo craft.

Reperibilità in Italia: Purtroppo anch’essa molto limitata. The Alchemist distribuisce principalmente in Vermont e qualche stato limitrofo. Ogni tanto appaiono lattine di Heady Topper tramite appassionati che le importano per uso personale, oppure in rarissimi eventi birrari internazionali. Va bevuta freschissima (entro poche settimane dall’inscatolamento) per coglierne appieno il profilo aromatico. Quindi, a meno di un viaggio nel New England (dove oggi per fortuna è più facile da acquistare rispetto al passato, grazie all’aumento della produzione), le chance di trovarla in Italia sono esigue. Esistono però valide alternative “ispirate a Heady” prodotte in Europa – sebbene gli appassionati notino sempre differenze sul piano della freschezza dei luppoli.

Da sapere: John Kimmich ha sempre raccomandato di bere Heady Topper direttamente dalla lattina, sostenendo che travasarla nel bicchiere fa disperdere aromi e mette in evidenza la torbidità e i lieviti (che secondo lui potrebbero distrarre l’olfatto). Molti degustatori però preferiscono versarla per apprezzarne il colore e lasciar decantare parte dei sedimenti. In ogni caso, il fatto che una lattina artigianale recasse istruzioni così specifiche fu qualcosa di nuovo e contribuì a creare il mito. Oggi Heady Topper rimane una pietra miliare: se amate le IPA succose e non l’avete mai provata, mettetela in cima alla lista delle birre da assaggiare almeno una volta nella vita.

Machete Double IPA – Birrificio del Ducato (Italia)

Portiamo l’attenzione “a casa” nostra con una soddisfazione tutta italiana: Machete Double IPA del Birrificio del Ducato (Parma). Questa birra è salita agli onori della cronaca recentemente quando, ai World Beer Awards 2023, ha conquistato la medaglia d’oro come Migliore Double IPA del mondo. Un risultato storico che ha riempito d’orgoglio la scena artigianale italiana, dimostrando che anche da noi si sanno produrre IPA di livello globale.

Machete è una Double IPA in stile prevalentemente West Coast, di circa 8.5% vol, brassata per la prima volta nel 2011. Il birraio Giovanni Campari l’ha concepita unendo la potenza aromatica dei luppoli americani a un solido equilibrio europeo. Nel bicchiere si presenta dorata carica, leggermente velata (non filtrata), con schiuma cremosa aderente. L’aroma sprigiona intense note erbacee e di frutta tropicale (mango, passion fruit), agrumi (pompelmo rosa) e un accenno di resina. C’è anche una vena “dank”, quel profumo quasi da erba tagliata e balsamico tipico di alcuni luppoli americani. In sottofondo, lievi note maltate di miele e caramello.

Al sorso Machete colpisce per la complessità: corpo medio-pieno, ingresso leggermente dolce di malto che subito lascia spazio a un profilo luppolato stratificato. Si percepiscono sapori fruttati (agrumi amari, frutta esotica matura) e una decisa componente amara resinosa-piccante. L’amaro è alto ma ben calibrato, come sottolineato dalle note di giudizio WBA: “una birra decisa che sa imporsi con un’avvolgente esplosione aromatica, ottima bevuta da sola o in compagnia di piatti saporiti”. Il finale è secco, pulito e molto lungo, con echi di resina di pino e scorza d’agrume. Nonostante l’ABV elevato, l’alcool è ben integrato e riscalda solo leggermente in chiusura.

Riconoscimenti: Oltre al già citato trionfo ai World Beer Awards 2023 come “World’s Best DIPA”, Machete vanta un palmarès di tutto rispetto: oro e argento in diverse competizioni nazionali e internazionali degli ultimi dieci anni. Già nel 2013 fu premiata come migliore Imperial IPA in un concorso italiano, e nel tempo ha raccolto consensi anche dal pubblico, risultando spesso tra le birre artigianali italiane più votate nelle classifiche di settore. Il birrificio del Ducato è noto per l’attenzione maniacale al controllo qualità, e nel caso di Machete ciò si traduce in un prodotto che, annata dopo annata, mantiene un livello qualitativo altissimo e costante.

Reperibilità in Italia: Ottima, essendo un prodotto nazionale. Machete si trova in molti beershop e locali craft, sia in bottiglia che talvolta alla spina. Birrificio del Ducato (oggi parte del gruppo Damolin – Ténenz) ha una buona distribuzione, dunque non è difficile procurarvela fresca. Il consiglio è di consumarla il prima possibile dalla data di confezionamento, per godere appieno della fragranza dei luppoli. Se potete, provatela a fianco di un classico americano: ad esempio, un confronto Machete vs Stone IPA/EnjoyBy mette in luce come la nostra regga assolutamente il confronto, talora risultando persino più aromatica.

Un’osservazione finale: Machete incarna la filosofia “no compromise” di Ducato: una luppolatura aggressiva ma ponderata, un profilo aromatico internazionale e una esecuzione tecnica impeccabile. Questa birra ha contribuito a sfatare il mito che le IPA italiane fossero sempre inferiori a quelle d’oltreoceano. La vittoria ai WBA è la ciliegina sulla torta di un percorso iniziato oltre dieci anni fa, segno di costanza e innovazione. Se siete appassionati di luppolo e ancora non conoscete Machete, è il momento di colmare la lacuna – difficilmente ne resterete delusi.

King Julius – Tree House Brewing (USA)

Nel pantheon delle Double IPA New England hazy, un posto d’onore spetta a King Julius, prodotto di punta di Tree House Brewing (Massachusetts). Tree House è considerato uno dei birrifici pionieri e leader del filone New England IPA; la loro Julius (IPA singola) è già leggendaria, e King Julius ne è la versione potenziata (8.2% vol), lanciata inizialmente come one-shot e poi diventata un classico stagionale. Se Heady Topper ha acceso la scintilla delle NEIPA, King Julius (e in generale le creazioni Tree House) hanno portato quel concetto all’apice della morbidezza succosa, influenzando enormemente la scena craft dell’ultimo decennio.

King Julius si presenta di colore aranciato intenso, completamente opalescente fino quasi al torbido, con schiuma compatta e cremosa. L’aroma è seducente e ricchissimo: ondate di mango maturo, pesca sciroppata, ananas, frutto della passione, supportate da note di arancia dolce e resina di pino molto leggera. In pratica un tropical juice resinoso. Il lievito inglese scelto e il massiccio dry-hopping (con varietà come Citra, Mosaic e simili) producono esteri e aromi luppolati fittamente intrecciati. Al palato, come ci si attende, ha un corpo medio e setoso grazie all’uso di avena e frumento; carbonazione medio-bassa. L’ingresso è dolce-fruttato, con sapori che ricordano un succo ACE (arancia-carota-albicocca) arricchito di mango e ananas. L’amaro è moderato, arriva solo dopo un attimo, sufficiente a bilanciare ma non a sovrastare l’ondata fruttata. Il finish rimane morbido, leggermente dolce, con un fantasma di amaro agrumato che pulisce quel tanto che basta. L’alcool? Percepibile solo come calore lieve, per il resto ben mascherato.

Questo profilo ha fatto innamorare migliaia di appassionati: King Julius è valutata a livelli stratosferici nelle classifiche (spesso intorno a 4.7/5 di media su Untappd; su BeerAdvocate la serie Julius occupa più posizioni: King Julius e le varianti come King JJJuliusss sono tutte in cima alla categoria Imperial NEIPA). Vince regolarmente premi nelle competizioni consumer e nel 2022 è stata votata miglior birra del Massachusetts dal pubblico locale. La sua fama è tale che le release in lattina vanno sold-out in poche ore presso il birrificio.

Reperibilità in Italia: Estremamente scarsa, simile a Heady Topper. Tree House não distribuisce al di fuori dei propri punti vendita (il birrificio e qualche beer garden affiliato). L’unico modo di provarla è recarsi in Massachusetts oppure scovarla in eventi speciali o tramite scambi con appassionati americani. Dato lo status di “graal” per molti hophead, c’è chi l’ha importata in valigia pur di assaggiarla. Però, va detto, l’evoluzione del mercato ha portato diverse birre europee ad ispirarsi a King Julius. Ad esempio, Cloudwater (UK) nelle sue DIPA iniziali cercava di replicare quell’esperienza, e alcuni progetti italiani come le NEIPA di birrifici tipo CR/AK o altri hanno dichiaratamente preso spunto dallo stile Tree House. Ciò non toglie che l’originale mantenga un’aura speciale.

Una riflessione sul gusto moderno: King Julius rappresenta l’apice di un certo trend: birre luppolate meno amare, più succose, quasi “facili” da bere nonostante la gradazione elevata. Questo ha allargato il pubblico delle IPA a persone che in passato le trovavano troppo amare. È interessante notare come al panel del World Beer Cup 2018 alcuni giudici notarono che “le Double IPA in concorso risultano mediamente più dolci e fruttate rispetto al passato, segno dell’influenza NEIPA”. King Julius e simili hanno insomma cambiato i parametri. Alcuni puristi West Coast storcono il naso, ma molti altri appassionati hanno scoperto un nuovo amore. La cosa migliore? Godersi sia una Pliny che una King Julius a seconda del mood del momento – dopotutto, è proprio la varietà a rendere il mondo della birra artigianale così avvincente.

Stone Ruination 2.0 – Stone Brewing (USA)

Torniamo sulla costa ovest con una pietra miliare: Stone Ruination Double IPA (nella sua versione 2.0 aggiornata). La Stone Brewing di San Diego è stata una protagonista dell’epoca d’oro delle West Coast IPA, e la Ruination, lanciata nel 2002, fu la prima Double IPA prodotta stabilmente tutto l’anno da un birrificio americano. Il nome “Ruination” allude scherzosamente al fatto che “rovinerà il tuo palato” a causa dell’amaro estremo. Nel 2015 Stone ha introdotto la Ruination 2.0, una rivisitazione con luppoli più moderni e tecnica di dry hopping avanzata, mantenendo però lo spirito originale.

Si presenta limpida e dorata con riflessi ambrati, schiuma bianca fine. L’aroma è potentissimo e accattivante: frutta tropicale e agrumi intensi accompagnati dal classico pino della scuola Stone. In particolare spiccano mango, papaya, pompelmo e resina, con leggere note di cedro e un floreale pungente. Grazie alla nuova ricetta 2.0, la Ruination ha guadagnato in complessità aromatica, non limitandosi alla resina old school ma aggiungendo quelle sfumature esotiche. Al palato, però, resta fedele al suo nome: l’amaro è alto, fiero, intenso e persistente. Il corpo è medio, la carbonazione medio-alta, con ingresso leggermente maltato (caramello chiaro, biscotto) che dura un istante prima che i luppoli prendano il sopravvento. Da metà bevuta in poi, è un viaggio tra pino, scorza di pompelmo e una nota da “dank” verde quasi pungente. Il finale è asciutto e amaricante, tuttavia non sbilanciato: come sottolineò una degustatrice, “nonostante sia big (8.5%), non è eccessivamente malty-sweet. Quei luppoli brillano davvero in questa birra”. Infatti, Stone è riuscita a evitare la trappola di molte DIPA d’epoca che eccedevano in malti caramello: la 2.0 risulta più snella, lasciando i luppoli protagonisti.

Impatto storico: Stone Ruination ha educato un’intera generazione di hophead all’amaro estremo. Fu una delle birre con più IBU in commercio all’epoca (oltre 100 IBU dichiarati) e portò la bandiera delle West Coast DIPA in giro per il mondo. La 2.0 continua la tradizione e ha ricevuto apprezzamenti sia dal pubblico che dai birrai: in un sondaggio di VinePair i professionisti l’hanno citata tra le loro DIPA preferite, lodandola per il burst tropicale unito al classico piney note. Su siti come BeerAdvocate mantiene punteggi eccellenti, attestandosi come riferimento nello stile West Coast.

Reperibilità in Italia: Buona. Negli ultimi anni Stone ha avuto anche uno stabilimento a Berlino (poi ceduto a BrewDog), ma i suoi prodotti arrivano regolarmente tramite importatori. La Ruination 2.0 si trova soprattutto in bottiglia da 50cl o in lattina, presso beershop specializzati. Assicuratevi di controllare la data: una Ruination fresca (entro 3-4 mesi) è sublime, mentre vecchie rimanenze perdono la brillantezza del luppolo. Essendo un classico, è spesso disponibile; se preferite assaggiarla alla spina, cercate locali craft quando Stone lancia i suoi eventi “Enjoy By IPA” (un’altra loro DIPA famosa per essere consumata fresh) – talvolta includono anche Ruination nelle tap list.

In conclusione, Stone Ruination è una Double IPA dalla quale ogni appassionato dovrebbe passare almeno una volta. È un pezzo di storia brassicola e, al contempo, una birra ancora attualissima per chi ama i sapori decisi. Come l’ha definita un’esperta: “perfettamente luppolata a mio gusto… un poema liquido in onore del luppolo!”. Se volete capire davvero cosa significhi West Coast vibe, stapparne una bottiglia è un ottimo inizio.

Bell’s Hopslam Ale – Bell’s Brewery (USA)

Dalla California ci spostiamo nel Midwest americano, dove un altro nome ha fatto la storia delle DIPA: Hopslam Ale del birrificio Bell’s (Michigan). Questa Imperial IPA stagionale, brassata con miele, è stata per lungo tempo una delle birre più ricercate negli USA, guadagnandosi posti alti nelle classifiche popolari e premi della comunità. Ancora oggi, a ogni inizio anno, l’uscita di Hopslam genera grande attesa tra gli appassionati.

Hopslam si presenta color oro carico con riflessi arancio, velatura leggera, e schiuma cremosa. Il naso è intenso e complesso: un bouquet di lupolo fresco (pino, pompelmo, fiori) avvolto da note fruttate di albicocca e miele. Infatti, Bell’s aggiunge una buona quantità di miele di fiori d’arancio in bollitura, che non rende la birra dolce ma conferisce un aroma floreale e amplifica la percezione di frutta matura. Ci si trovano anche sentori di uva bianca e leggero tropicale (litchi, mango). In bocca Hopslam è morbida e piena: corpo medio-pieno, texture quasi viscosa (il miele contribuisce a corpo e mouthfeel). L’attacco è dolce, con note di pane al miele e frutta gialla, ma rapidamente il luppolo prende la scena con ondate di pompelmo, resina e una punta erbacea. L’amaro è deciso ma elegantemente integrato, forse meno “ruvido” di altre DIPA grazie alla base maltata solida. Il finale è lungo e riscaldante (10% vol, si sente un po’), con retrogusto agrumato-resinoso bilanciato da un’eco mielata.

Per diversi anni, Hopslam è comparsa regolarmente nelle top 10 delle best beers in America secondo i lettori di Zymurgy (AHA): ad esempio, nel 2017 si piazzò al 5º posto assoluto, affiancando nomi come Pliny e Two Hearted. Questo la dice lunga sul suo status di cult. Fu anche definita dal magazine Draft come “la miglior Double IPA disponibile in bottiglia” verso fine anni 2000, quando molte altre erano solo alla spina. L’uso del miele la rende peculiare e riconoscibile: tanti birrifici successivamente hanno sperimentato con mieli nelle DIPA, ma Hopslam resta l’esempio più riuscito.

Fu anche definita tra le migliori birre d’America secondo diversi sondaggi specializzati. In un sondaggio 2017 di Zymurgy, Hopslam appariva addirittura al 5º posto tra le top beers scelte dai lettori, a testimonianza del perdurante amore del pubblico.

Disponibilità in Italia: Limitata. Bell’s Brewery, pur essendo uno dei maggiori craft brewer USA, non ha una distribuzione capillare in Europa. Sporadicamente qualche importatore indipendente ha portato Hopslam in bottiglia, ma si tratta di eventi rari. Chi l’ha provata in patria la descrive come un’esperienza da non perdere se amate le DIPA bilanciate e aromatiche. In mancanza della Hopslam originale, alcune birre europee cercano profili similari (ad esempio certe DIPA al miele prodotte in UK o Scandinavia), ma il confronto diretto è difficile. Se tuttavia doveste incappare in una Hopslam fresca, consideratevi fortunati e preparatevi a un viaggio sensoriale tra luppolo e miele.

In sintesi, Hopslam ha saputo distinguersi creando una nicchia particolare nello stile Double IPA – quella delle DIPA con aggiunte (il miele) che arricchiscono il bouquet senza snaturare l’anima luppolata. Ancora oggi viene spesso citata come riferimento, al punto che la stessa Bell’s sul suo sito ha celebrato più volte il fatto che “Hopslam è di nuovo nella Top 10 dei migliori beers d’America”. Un riconoscimento meritato per una birra che, nonostante l’evoluzione dello stile, rimane un classico intramontabile.

Melvin 2×4 DIPA – Melvin Brewing (USA)

Dalle birre storiche passiamo a una più recente ma che si è guadagnata una fama straordinaria: la 2×4 Double IPA del birrificio Melvin, in Wyoming (USA). Melvin Brewing, nato come brewpub in un ristorante thai (!) a Jackson nel 2010, è salito agli onori della cronaca proprio grazie alla 2×4, che per tre anni consecutivi (2015-2017) ha vinto l’Alpha King Championship, prestigiosa competizione statunitense che premia la miglior birra luppolata d’America. Inoltre, ha conquistato medaglie d’oro al Great American Beer Festival e al World Beer Cup. Insomma, un pedigree da fuoriclasse per questa Double IPA in perfetto stile West Coast.

La 2×4 si presenta chiara, dorata brillante, con schiuma fine. L’aroma è un assalto aromatico: pompelmo, pino, resina, frutta tropicale (soprattutto mango e ananas), il tutto con una pulizia olfattiva notevole. Non emergono note maltate in aroma – è un omaggio puro al luppolo americano di nuova generazione. Al palato il corpo è medio-leggero rispetto alla gradazione (circa 9.9% vol), con un’attenuazione spinta che la rende quasi pericolosamente facile da bere. Il gusto sfodera intense note agrumate e resinose, con accenni di pesca e passion fruit. L’amaro è alto (100+ IBU dichiarati) ma grazie alla leggerezza del corpo risulta nitido e non pastoso. Il finale è asciutto, lunghissimo, con retrogusto di pompelmo e pino davvero persistente.

Ciò che impressiona della Melvin 2×4 è l’equilibrio nella potenza: gli esperti lodano la sua capacità di essere estrema ma non sgraziata. Non a caso, il birrificio la promuove con ironia (“You’d be crazy not to drink it” recita il loro slogan) e gli appassionati la considerano una delle migliori interpretazioni moderne delle DIPA old school. Su BeerAdvocate mantiene un rating altissimo (spesso intorno a 4.4/5) e su Untappd idem. Insomma, un mostro da competizione che è poi diventato un prodotto commerciale di successo.

Reperibilità in Italia: Purtroppo scarsa. Melvin Brewing è di nicchia e la distribuzione oltreoceano molto limitata. Qualche fusto è apparso in festival birrari europei negli anni scorsi, ma poche bottiglie/lattine arrivano nei negozi specializzati. Se doveste trovarla on tap in qualche evento (Melvin ha talvolta partecipato all’Euro Hop Tour), assaggiatela senza esitazione: potrete dire di aver provato la DIPA che ha battuto tutti in America per tre anni di fila. In alternativa, diversi birrifici hanno collaborato con Melvin creando versioni collab (alcune arrivate anche in Italia) che possono dare un’idea dello stile.

Nota finale: la 2×4 è così celebre negli USA che Melvin le dedica ogni anno una giornata celebrativa, il “2×4 Day”, con feste in vari pub e fusti speciali in contemporanea. Questo per far capire l’impatto culturale che può avere una singola birra eccezionale nella scena craft. Ecco perché abbiamo incluso Melvin 2×4 nella nostra top list: benché poco conosciuta al grande pubblico italiano, è considerata dagli addetti ai lavori un vero capolavoro di luppolatura, degna di stare fianco a fianco con i mostri sacri più blasonati.

Of Foam and Fury – Galway Bay Brewery (Irlanda)

La scena europea delle Double IPA ha anch’essa i suoi campioni, e uno di questi viene dall’Irlanda: Of Foam and Fury, Double IPA del birrificio artigianale Galway Bay. Uscita intorno al 2013, questa birra ha sorpreso molti per la qualità elevatissima, al punto da essere spesso citata tra le migliori DIPA europee in blind test comparativi. Il nome “Of Foam and Fury” (dalla celebre frase “sound and fury”) è emblematico: tanta schiuma e tanta furia luppolata.

Di colore ambrato carico e leggermente velato, sprigiona un aroma ricchissimo di frutta tropicale matura e agrumi canditi, su un sottofondo maltato di caramello. In effetti, rispetto alle americane super secche, questa DIPA irlandese mantiene un tocco maltato più presente (è sui 8.5% vol con buon corpo), che bilancia un bouquet di luppoli esotici (Mosaic, Citra e simili). Al naso troviamo mango, papaya, marmellata d’arancia, resina di pino e un accenno di ananas. Al sorso, il corpo medio-pieno porta inizialmente una dolcezza di malto (toffee leggero) poi subito contrastata da note di pompelmo rosa, mango, e un amaro deciso ma rotondo. Il finale è persistente con note agrumate resinose e un calore alcolico lieve.

Of Foam and Fury ha ottenuto un tale plauso che alcuni birrai (come emerso nell’articolo di VinePair) l’hanno indicata come una delle migliori Double IPA mai assaggiate. Per l’Europa non è una sorpresa: ha vinto medaglie d’oro nelle competizioni irlandesi e britanniche e ha spinto in alto la reputazione di Galway Bay Brewery nel panorama internazionale. Per anni è stata quasi introvabile fuori dall’Irlanda, generando curiosità e mini-pellegrinaggi birrari a Galway per provarla alla fonte.

Reperibilità in Italia: In tempi recenti qualche fusto e lattina è arrivato tramite distributori specializzati. Non è comunissima, ma la si è vista in tap takeover e in vendita online su siti di birre UK/IE che spediscono in UE. Sicuramente merita l’assaggio se siete amanti delle DIPA: rappresenta una via di mezzo interessante tra lo stile West Coast e una leggera impronta maltata “inglese”. Un esempio di come l’Europa sappia interpretare lo stile in modo personale e vincente.

Galway Bay, grazie a questa birra, ha aperto la strada a molte altre ottime IPA irlandesi e del Regno Unito che oggi competono con gli USA. Ma Of Foam and Fury rimane la pioniera, una sorta di “Pliny d’Irlanda” per importanza storica locale. E dopo tutti questi anni, la sua furia luppolata non si è affatto placata.

Dogfish Head 90 Minute IPA – Dogfish Head (USA)

Chiudiamo la lista con un classico intramontabile: 90 Minute IPA del birrificio Dogfish Head (Delaware, USA). Tecnicamente è una Imperial IPA (9% vol) antecedente al termine “Double IPA”, lanciata nel 2003. Sam Calagione, fondatore di Dogfish Head, la realizzò con un metodo innovativo di continuous hopping: luppolo aggiunto continuamente per tutti i 90 minuti di bollitura, da cui il nome. Questo portò a un’amarezza intensa ma ben integrata, rivoluzionando il modo di pensare alle IPA forti.

90 Minute IPA si presenta di colore ambrato ramato, limpida, con schiuma avorio. L’aroma è ricco e complesso: un bel mix di note resinose e terrose old school, frutta secca, agrumi canditi e malto tostato. Infatti, essendo di concezione anni 2000, include una decisa componente maltata (caramello, toffee, pan di zenzero) che fa da contrappeso al luppolo. Al naso si colgono anche sentori alcolici morbidi (quasi liquorosi, tipo sherry) e leggero erbaceo. In bocca, il corpo è pieno e oleoso, con carbonazione moderata. L’attacco dolce (caramello, miele di castagno) cede il passo a un’esplosione di sapori di luppolo: marmellata d’arancia amara, resina di pino, tè nero. L’amaro è alto ma arrotondato dalla dolcezza residua del malto, creando un equilibrio “East Coast” molto interessante. Il finale è lungo, con un piacevole contrasto tra l’amaro persistente e note calde maltate e alcoliche.

Nel contesto attuale di IPA secche e chiare, 90 Minute può sembrare quasi anacronistica, ma resta una birra iconica. È stata a lungo considerata la Imperial IPA di riferimento sulla costa est e ha accumulato premi e riconoscimenti. Ad esempio, fu nella top 50 di RateBeer per anni e nel sondaggio di Zymurgy 2017 era ancora presente (pari merito al 19º posto) tra le birre più amate dagli homebrewer americani. La sua fama ha portato Dogfish Head a creare anche la 60 Minute (IPA più leggera) e la 120 Minute (versione estrema da 18% vol!). Ma è la 90 Minute ad aver trovato il “sweet spot” per tanti appassionati.

Reperibilità in Italia: Buona. Dogfish Head, specialmente dopo l’unione con Boston Beer Company, ha migliorato la distribuzione internazionale. La 90 Minute IPA si trova talvolta in bottiglia nei beershop e anche alla spina in locali di alto profilo. Ovviamente il consiglio è di controllare la freschezza, trattandosi di una birra in cui il luppolo – benché supportato dal malto – deve essere fragrante. Assaggiarla oggi, a vent’anni dal debutto, è anche un esercizio culturale: permette di capire come si sono evolute le DIPA. Molti rimarranno stupiti di quanto sia ancora attuale e piacevole, nonostante abbia un profilo diverso dalle trendy haze IPA. Segno che i classici ben fatti non passano mai di moda.

Considerazioni finali: Dogfish Head 90 Minute sintetizza la filosofia di Sam Calagione: “Off-centered ales for off-centered people”. Un approccio fuori dagli schemi (luppolatura continua) per creare qualcosa di unico. E i risultati gli hanno dato ragione, visto che questa birra ha letteralmente ispirato centinaia di birrai dopo di lui. Se amate le IPA e volete esplorare le radici del successo di questo stile, 90 Minute è un tassello fondamentale.

Double Jack – Firestone Walker (USA)

(Bonus) Tra le DIPA storiche merita una menzione speciale la Double Jack di Firestone Walker (California). Introdotta nel 2009, fu per lungo tempo considerata una delle migliori Double IPA al mondo, grazie al perfetto bilanciamento tra maltosità e luppolatura agrumata. Double Jack vinse medaglie d’oro al GABF e figurò anch’essa nelle classifiche popolari (es. nella Top 50 Zymurgy). Firestone Walker decise di sospenderne la produzione nel 2016 per far spazio a nuove IPA più moderne, ma a furor di popolo l’ha riproposta nel 2020 come edizione occasionale. Segno che i fan non l’avevano dimenticata.

Double Jack incarna il prototipo della DIPA californiana “perfetta”: colore dorato carico, limpida; aroma di pompelmo, mango e pino; corpo medio, 9.5% ben nascosto; amaro deciso ma non abrasivo, con un finale elegante. Molni degustatori la consideravano la Pliny del sud California. Oggi è più difficile da reperire (solo via import sporadico quando esce), ma abbiamo voluto citarla perché spesso appare nelle discussioni sulle migliori DIPA di sempre. Se mai la incrociate, saprete che è un pezzo di storia che vale la pena rivivere.

Conclusione

Questa carrellata di migliori Double IPA internazionali ci ha portato attraverso leggende americane, punte di diamante italiane ed europee, e innovatori che hanno spinto il limite del luppolo. Dalle West Coast secche e resinose alle New England succose e velate, lo stile Double IPA offre una gamma di esperienze ampia e in continua evoluzione. Ogni appassionato avrà le sue preferite – c’è chi venererà la nitida Pliny the Elder e chi impazzirà per la morbida King Julius, chi brinderà con orgoglio con una Machete nostrana e chi sognerà le rare lattine di Heady Topper.

Quel che è certo è che le Double IPA, nate come esperimento audace, sono oggi uno stile maturo e riconosciuto, con sottostili e scuole diverse. Le birre elencate sono tutte accomunate dall’aver lasciato un segno indelebile: o perché hanno definito uno standard, o perché hanno vinto premi mondiali, o perché hanno introdotto qualcosa di nuovo. Ma la scena è in fermento continuo: nuove Double IPA escono ogni mese, potenzialmente pronte a scalzare le vecchie glorie. Questa classifica dunque è da intendersi come una fotografia dell’oggi basata su fonti autorevoli, ma non ha pretese di immutabilità. Anzi, attendiamo con curiosità le prossime uscite che faranno parlare di sé.

Per il pubblico italiano, un invito: molte delle birre citate sono difficili da ottenere, ma il bello è anche questo – ricercarle, magari scoprendo locali o shop specializzati, partecipare a festival dove vengono spillate, fare beer-hunting insomma. E nel frattempo, esistono ottime Double IPA italiane ed europee ispirate a queste icone, che vale la pena sostenere e assaggiare. Ogni appassionato potrà così farsi la propria idea di quale meriti il podio personale.

L’importante, come sempre, è approcciarsi con mente aperta e palato pronto a cogliere sfumature. Che preferiate un’amara raffica resinosa o un succo tropicale al luppolo, le Double IPA offrono emozioni forti. Brindiamo dunque a queste grandi birre e a quelle che verranno, con la consapevolezza che una classifica è un gioco che serve soprattutto a condividere la passione. Che il dibattito abbia inizio – in fondo, ogni pinta di DIPA può alimentare discussioni infinite, ma sempre all’insegna del gusto!

tl;dr

Classifica delle migliori Double IPA internazionali, comprendente icone come Pliny the Elder, Heady Topper, Machete (italiana), King Julius e altre. Lo stile spazia dalle West Coast amare e resinose alle New England succose e velate. Ogni birra è descritta con profilo aromatico, riconoscimenti e indicazioni sulla reperibilità in Italia.

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5 commenti

  1. Finalmente un articolo che parla di Machete! La ho provata al beer festival di Parma ed è davvero eccezionale. Complimenti ai birrai del Ducato.

  2. Heady Topper è un sogno irraggiungibile per me. Qualcuno conosce una DIPA europea che si avvicini? Ho sentito parlare della Gamma di Cloudwater…

  3. Bell’s Hopslam è una delle mie preferite in assoluto. Peccato che in Italia sia introvabile. Qualche consiglio su dove ordinarla online?

  4. Articolo ben fatto, ma secondo me manca la Gamma di BrewDog, che pure ha vinto premi. Comunque ottima selezione.

  5. Grazie per la menzione di Of Foam and Fury! L’ho assaggiata a Dublino ed è davvero speciale. Consiglio a tutti di provarla se passate in Irlanda.

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