Birra e crisi climatica: dati e studi scientifici

La prossima volta che brindiamo con una birra ghiacciata, dovremmo pensare alla crisi climatica in atto e al suo impatto sulla nostra bevanda preferita. Potrebbe sembrare un allarme esagerato, ma il legame tra birra e crisi climatica è sempre più concreto. Studi recenti mostrano che i cambiamenti del clima – ondate di calore, siccità prolungate, eventi meteo estremi – già incidono sulla disponibilità degli ingredienti chiave della birra, come orzo e luppolo. Il global warming non è quindi solo un tema lontano: rischia di far aumentare il prezzo della birra, di modificarne il sapore e persino di rendere più difficile la produzione. Immaginare una pinta che diventa un lusso per pochi non è fantasia, ma uno scenario ipotizzato da diversi ricercatori. In questo articolo esamineremo i dati scientifici e gli studi più importanti su come la crisi climatica sta cambiando il panorama brassicolo, e vedremo anche come l’industria della birra artigianale reagisce tra innovazione e sostenibilità.

Dalle coltivazioni di orzo minacciate dalla siccità, ai luppoli aromatici meno amari a causa del caldo, fino alla gestione dell’acqua nei birrifici e alle iniziative green per ridurre l’impronta ambientale, faremo un viaggio approfondito nel connubio tra birra e global warming. Questo tema è cruciale non solo per i produttori, ma anche per noi appassionati: capire cosa sta accadendo ci aiuta ad apprezzare ancora di più ogni sorso e a sostenere pratiche sostenibili. Procediamo quindi con ordine: per prima cosa analizzeremo gli effetti climatici sulla materia prima, poi sulle fasi di produzione, e infine daremo uno sguardo alla resilienza del settore e alla ricca cultura che ruota attorno a un bicchiere di birra.

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Orzo e crisi climatica: impatto sulla produzione di birra

L’orzo è l’anima della birra: dal suo malto si ottiene lo zucchero che alimenta la fermentazione alcolica. Purtroppo, ondate di calore e siccità minacciano seriamente le coltivazioni di orzo a livello globale. Ricerche scientifiche indicano che le rese dell’orzo potrebbero diminuire in media dal 3% fino al 17% entro la fine del secolo, a seconda di quanto saliranno le temperature[1]. Se il raccolto di orzo cala, cala anche la produzione di malto e quindi di birra. Uno studio pubblicato su Nature Plants ha stimato che nei prossimi decenni il calo di orzo dovuto al clima potrebbe ridurre la produzione mondiale di birra abbastanza da farne impennare i prezzi[2]. Nei modelli più pessimistici, in alcuni paesi amanti della birra il costo di una pinta potrebbe raddoppiare o peggio (fino a un +193% in scenari estremi)[2].

Non è fantascienza: la birra è la bevanda alcolica più consumata al mondo, e circa un terzo di tutto l’orzo coltivato globalmente viene destinato alla maltazione per la filiera brassicola[3]. In situazioni di scarsità, però, l’orzo disponibile viene dirottato principalmente verso l’alimentazione e i mangimi per animali, che hanno la precedenza. Ciò significa che la produzione di birra subisce il colpo peggiore: meno orzo per la maltazione comporta costi maggiori per i birrai. A livello globale, questo scenario potrebbe tradursi in un calo significativo del consumo di birra – si parla di un potenziale -16% su scala mondiale secondo alcuni modelli – e in un accesso più limitato a quella che oggi consideriamo una bevanda alla portata di tutti[4]. La stampa internazionale ha definito questa prospettiva come un possibile incubo per i bevitori di birra: nel 2018 il quotidiano The Guardian titolò «il cambiamento climatico causerà carenze “drammatiche” di birra», segno che la preoccupazione era già viva anche presso il grande pubblico.

Gli effetti, ovviamente, non sarebbero uniformi ovunque. I paesi con una forte tradizione birraria e maggiore capacità di spesa probabilmente continuerebbero ad acquistare birra nonostante i rincari, mentre altrove si berrebbe meno. Ad esempio, i grandi produttori e consumatori come Cina, Stati Uniti e Germania potrebbero assorbire parte del contraccolpo riducendo l’export o attingendo alle scorte, ma le fasce di popolazione più sensibili al prezzo ne risentirebbero comunque[4]. Nei mercati emergenti o in paesi dove la birra è un bene di lusso, un forte rincaro ne limiterebbe ulteriormente la diffusione. Le previsioni indicano anche variazioni nei consumi pro capite: in alcuni luoghi si potrebbero bere decine di litri in meno all’anno rispetto a oggi, portando a un cambiamento delle abitudini di consumo consolidatesi nel tempo.

Questi scenari futuri iniziano già a trovare riscontro in eventi reali. Negli ultimi anni si sono registrate anomalie climatiche su larga scala. Nel 2021, ad esempio, una grave siccità nelle pianure del Nord America ha causato un calo di circa il 30% del raccolto di orzo primaverile negli Stati Uniti e in Canada, facendo schizzare il prezzo del malto a livelli record. Anche in Europa non siamo immuni. In Italia, l’estate 2022 estremamente siccitosa ha causato un crollo del raccolto di orzo da birra di circa il 30% rispetto agli anni precedenti[5]. Molti birrifici artigianali italiani hanno lanciato l’allarme: meno orzo nazionale significa dover importare più materia prima a costi maggiori, in un momento in cui i consumi interni erano peraltro in crescita. La legge della domanda e dell’offerta non perdona: alla Borsa Merci di Bologna il prezzo dell’orzo è passato da circa 172 € a tonnellata nel 2019 a circa 328 € nel 2022[5]. Già oggi il consumatore percepisce che la pinta artigianale costa di più rispetto a quella industriale; tra i motivi ci sono la qualità degli ingredienti e le scale produttive ridotte (come spiegato nell’articolo perché la birra artigianale costa di più). Se aggiungiamo le difficoltà climatiche, il rischio è di erodere ulteriormente i margini dei produttori o di rendere la birra artigianale ancora meno competitiva sul mercato.

Va sottolineato che la vulnerabilità al clima varia da paese a paese. L’Italia, ad esempio, già oggi non è autosufficiente per l’orzo da birra: produce meno della metà del proprio fabbisogno e deve importare il resto[6][7]. Se le ondate di calore tagliano i raccolti in Germania o Francia – nostri principali fornitori – l’effetto a catena arriva fino ai microbirrifici italiani. Allo stesso modo, nazioni dove la birra è un pilastro della cultura conviviale (pensiamo a Regno Unito, Belgio o Repubblica Ceca) potrebbero trovarsi a dover allocare più terreni alla coltivazione di orzo da malto a scapito di altre colture, oppure ad affrontare rincari importanti. Sapere dove si beve più birra nel mondo e quanta se ne consuma pro capite ci fa capire quali società sarebbero più colpite: nazioni come la Repubblica Ceca (tradizionalmente al top per consumo pro capite) o la Germania potrebbero dover rinunciare a parte del loro primato, mentre in paesi in via di sviluppo la birra rischierebbe di diventare un bene ancor più elitario.

Per fronteggiare queste sfide, si guarda anche all’innovazione agricola. Diverse istituzioni studiano varietà di orzo più resistenti alla siccità e al calore, nella speranza di ottenere in futuro colture capaci di prosperare nonostante il climate change. Anche la diversificazione dei cereali utilizzati per la birra – ad esempio integrando sorgo, miglio o altri grani meno assetati – potrebbe aiutare a rendere la filiera brassicola più resiliente ai cambiamenti del clima. Nel prossimo paragrafo vedremo come un altro ingrediente fondamentale, il luppolo, stia subendo gli effetti del riscaldamento globale e quali conseguenze ciò comporti sul piano organolettico.

Luppolo e global warming: conseguenze sul gusto della birra

Se l’orzo fornisce il “pane” della birra, il luppolo è il “condimento” che le dona aroma e il caratteristico gusto amarognolo. I luppoli pregiati – soprattutto quelli aromatici usati nelle birre artigianali e nelle IPA – sono coltivati in climi temperati, spesso in zone come la Germania, la Repubblica Ceca o gli Stati Uniti nord-occidentali. Proprio queste aree stanno subendo cambiamenti climatici sensibili: estati più calde, più secche e più imprevedibili. Di conseguenza, anche il luppolo soffre. Uno studio del 2023 pubblicato su Nature Communications ha rilevato che la resa dei luppoli aromatici europei potrebbe diminuire fino al 18% entro il 2050, accompagnata da un calo significativo della qualità in termini di acidi alfa[8]. Questi acidi (come l’humulene) sono i responsabili del profumo e dell’amaro della birra; meno alfa-acidi significano birre meno aromatiche e meno amare, dunque organoletticamente diverse da quelle a cui siamo abituati. Nello stesso studio si prevede una diminuzione media di circa il -31% nel contenuto di alfa-acidi nei luppoli entro metà secolo[9], uno stravolgimento che potrebbe costringere i birrai a rivedere le ricette per ottenere lo stesso livello di amaro nelle IPA del futuro.

I segnali di questa tendenza sono già osservabili. Dall’analisi dei dati storici è emerso che in molti dei principali territori luppolicoli europei (come Žatec in Repubblica Ceca, patria del luppolo Saaz) le rese medie e il contenuto di sostanze amaricanti per ettaro sono in calo dagli anni ’90 a oggi[10]. In pratica, i campi di luppolo producono meno fiori e con minore “potenza aromatica” rispetto a una volta. Il global warming modifica la stagione di crescita e riduce la disponibilità di luppolo per la produzione di birra[8]: le estati più lunghe, più calde e più secche anticipano la maturazione dei coni e lo stress idrico ne frena lo sviluppo ottimale. Già oggi i coltivatori hanno raccolti più scarsi e luppoli meno profumati nelle annate troppo secche. Ciò impatta soprattutto i birrifici artigianali, che richiedono luppoli di alta qualità in grandi quantità per le loro birre fortemente luppolate.

Il risultato? Potremmo trovarci con birre dal gusto meno intenso o diverso da prima. Un’IPA prodotta con luppolo coltivato in condizioni climatiche alterate potrebbe presentare un aroma meno marcato di agrumi o resina, oppure un amaro meno netto. In alcuni casi, per raggiungere lo stesso livello di amaro si dovrà usare più luppolo (con costi maggiori) o ricorrere a varietà diverse. Ma cambiare l’origine o la varietà del luppolo cambia a sua volta il profilo organolettico: il rischio è di perdere per sempre certe sfumature di sapore caratteristiche di alcuni stili tradizionali. Come ha spiegato l’amministratore delegato di Carlsberg, se si è costretti a coltivare la stessa varietà in un clima diverso si otterrà un sapore completamente differente; con il riscaldamento dei paesi chiave per la coltivazione del luppolo, potremmo perdere per sempre quel sapore[11]. Pensiamo ai celebri luppoli “nobili” europei: se le zone dove crescono da secoli diventano troppo calde, spostare i luppoleti più a nord o più in alto potrebbe salvarne la produzione ma non garantire lo stesso aroma.

I coltivatori e i birrai non stanno a guardare. Per adattarsi, si stanno sperimentando soluzioni come l’innalzamento dell’altitudine dei luppoleti, la modifica della distanza e dell’orientamento dei filari, l’utilizzo di valli con falda acquifera più alta e altro ancora[12]. Tuttavia, queste misure possono solo mitigare parzialmente gli effetti del climate change. In Europa, poi, la sperimentazione genetica è limitata: le normative vietano l’uso di piante geneticamente modificate per il luppolo, il che impedisce di sfruttare incroci o modifiche in laboratorio che potrebbero creare cultivar più resistenti al caldo e alla siccità. Sul nostro sito abbiamo approfondito questo tema in birra e OGM: scienza, tradizione e innovazione brassicola, dove evidenziamo come l’innovazione genetica nella birra debba bilanciarsi con la tradizione e le normative vigenti.

Un’altra strada è sviluppare varietà di luppolo tradizionali incrociandole con linee più resistenti (non OGM, ma tramite breeding convenzionale). I centri di ricerca selezionano nuovi ceppi di luppolo che maturano prima o tollerano meglio la carenza d’acqua. Sul fronte brassicolo, invece, i mastri birrai sono consapevoli di dover essere flessibili: se un certo luppolo diventa introvabile o poco efficiente, sperimentano sostituzioni con varietà emergenti. Negli ultimi anni sono arrivati sul mercato luppoli europei frutto di incroci e selezioni pensati per offrire aromi inediti e maggiore resistenza. Alcuni esempi sono trattati nell’articolo luppoli europei emergenti: varietà e profili 2025, che descrive nuovi cultivar promettenti. L’utilizzo di luppoli alternativi, magari provenienti da zone climatiche più favorevoli, potrebbe diventare una necessità: già oggi molte West Coast IPA europee impiegano luppoli neozelandesi o americani, e viceversa si cercano equivalenti europei per i luppoli americani più difficili da coltivare (abbiamo dedicato un articolo alle alternative europee alle IPA californiane).

Inoltre, grandi gruppi come Carlsberg lavorano nei loro laboratori per ricreare in modo sostenibile alcune molecole aromatiche del luppolo, così da dipendere meno dalla natura capricciosa. Potrà sembrare un’eresia per i puristi, ma in futuro potremmo vedere birre aromatizzate con estratti o aromi di sintesi che imitano il luppolo, se ciò aiuterà a mantenere costante il gusto nonostante il clima. Nel frattempo, la strada maestra rimane ridurre il riscaldamento globale agendo sulle emissioni: come chiosano gli studiosi, la birra sembra essere solo un altro aspetto della civiltà in pericolo se non riduciamo rapidamente le emissioni globali di carbonio[13].

Dati in sintesi – Impatti della crisi climatica su orzo e luppolo (studi recenti)

Aspetto Impatto stimato entro 2050
Rese globali di orzo -3% fino a -17% (a seconda dello scenario IPCC)[1]
Produzione globale di birra -16% circa (scenario climatico estremo)[4]
Prezzo della birra fino a +100-200% in alcuni Paesi (scenario estremo)[2]
Resa del luppolo aromatico (Europa) -18% (nelle zone tradizionali di coltivazione)[9]
Contenuto di alfa-acidi nel luppolo -31% (riduzione degli aromi amari)[9]

Va detto che molti mastri birrai artigianali confermano di dover adattare le ricette anno dopo anno perché lo stesso luppolo, coltivato in annate più calde o siccitose, sviluppa aromi diversi dal solito, costringendoli a ribilanciare malti e dosaggi. In altre parole, il terroir del luppolo sta cambiando sotto i colpi del clima. La buona notizia è che il settore birrario non resta inerme: come vedremo, dai campi agli impianti di produzione sono tante le iniziative messe in campo per affrontare la crisi climatica.

Acqua, birrifici e clima: la sfida delle risorse idriche

Oltre a malto d’orzo, luppolo e lievito, c’è un altro ingrediente senza cui la birra non esisterebbe: l’acqua. Una birra è composta per oltre il 90% da acqua, e per produrla ne serve ancora di più. Si stima che i piccoli birrifici artigianali possano utilizzare fino… fino a 7-8 litri di acqua per ogni litro di birra finita (inclusi i lavaggi degli impianti, le perdite e così via). I grandi birrifici industriali, grazie a impianti moderni e processi ottimizzati, riescono invece a impiegare circa 2,5-3 litri d’acqua per litro di birra prodotto – una quantità molto inferiore. In entrambi i casi, però, parliamo di volumi enormi. È evidente che se il clima cambia e l’acqua diventa più scarsa, la produzione di birra entra in competizione con altri usi essenziali (agricoltura alimentare, consumo civile, ecc.). La crisi climatica si manifesta già in molte zone con periodi di siccità più frequenti, falde acquifere in calo e restrizioni idriche. Per i birrifici, specialmente quelli artigianali privi di pozzi propri, ciò rappresenta una sfida cruciale.

Pensiamo alle estati sempre più torride: fiumi in secca, bacini idrici ridotti al minimo e ordinanze che limitano l’uso dell’acqua. In scenari estremi, non è inverosimile che si arrivi a razionare l’acqua anche per gli stabilimenti produttivi. Alcuni anni fa, ad esempio, in città americane colpite da ondate di caldo record, le autorità hanno chiesto alle aziende – birrifici inclusi – di ridurre i consumi idrici per privilegiare l’acqua potabile dei cittadini. Anche in Europa, durante la grande siccità del 2022, diversi birrifici hanno dovuto rimandare alcune cotte perché l’acqua disponibile non era sufficiente o aveva parametri fuori norma. In Sudafrica, durante la crisi idrica di Città del Capo, un microbirrificio locale ha persino prodotto una birra con acqua depurata riciclata, per dimostrare la fattibilità di soluzioni estreme in condizioni di scarsità.

L’acqua non è importante solo per la quantità, ma anche per la qualità. Le caratteristiche dell’acqua (durezza, pH, contenuto di minerali) influenzano direttamente il profilo di una birra – tanto che storicamente certi stili sono nati in luoghi dove l’acqua aveva la composizione “giusta”. Ad esempio, le IPA inglesi devono qualcosa all’alto contenuto di solfati dell’acqua di Burton-on-Trent, e le Pilsner alla dolcezza dell’acqua di Plzeň. Se il cambiamento climatico altera le fonti idriche (pensiamo all’intrusione di acqua salata nelle falde costiere per l’innalzamento del mare, o all’abbassamento generale delle falde che concentra di più i sali), anche la chimica dell’acqua può mutare. I mastri birrai moderni sanno come adattare l’acqua con trattamenti (aggiunta di sali, osmosi inversa, filtrazioni), ma questo aggiunge complessità e costi. Per capire quanto l’acqua incida sul prodotto finale basti leggere birra e acqua: influenza sulle caratteristiche della birra, dove si spiega come i minerali dell’acqua esaltino diverse note sensoriali.

I birrifici – specialmente i più grandi – stanno mettendo in atto strategie per ridurre il proprio consumo idrico e renderlo più efficiente. Un esempio virtuoso è il gruppo Carlsberg, che è riuscito a tagliare del 30% l’acqua impiegata per ogni ettolitro di birra, scendendo a circa 2,5 L/L grazie a investimenti tecnologici e ottimizzazioni. Questo risultato, tra i migliori al mondo, è frutto di molte iniziative: sistemi di recupero delle acque di lavaggio, riutilizzo della condensa generata nei processi di riscaldamento, uso di acque piovane trattate per usi non a contatto col prodotto, e così via. Anche i microbirrifici, nel loro piccolo, possono adottare misure intelligenti: ad esempio riutilizzare l’acqua di raffreddamento del mosto per i successivi batch o per pulire i pavimenti, oppure installare piccoli impianti di filtrazione per poter lavare più barili con la stessa acqua.

In alcune zone particolarmente aride, torna d’attualità l’idea di produrre birra con acque reflue trattate: una soluzione limite che però alcune città della California hanno valutato durante lunghi periodi siccitosi (principalmente a scopo dimostrativo e di sensibilizzazione). Fortunatamente, la tecnologia aiuta: i moderni impianti a membrana e i filtri avanzati possono restituire acqua praticamente pura da acque di scarico, anche se i costi restano elevati e rimane una certa resistenza psicologica da parte dei consumatori.

Oltre alla fase di produzione, l’acqua è fondamentale anche a monte e a valle: serve acqua per coltivare l’orzo e il luppolo (molta – se piove meno bisogna irrigare di più) e serve acqua per la sanificazione e per servire la birra (pensiamo al ghiaccio per mantenere freschi i fusti, o all’acqua usata per sciacquare i bicchieri). Una crisi idrica colpisce quindi l’intera filiera brassicola. Ecco perché le aziende più attente misurano l’impronta idrica della birra, ovvero il totale di acqua dolce consumata lungo tutto il ciclo produttivo. Nel nostro approfondimento impronta idrica e LCA della birra artigianale spieghiamo come calcolare questo indice e quali pratiche possono migliorarlo, dalla coltivazione in campo fino al riciclo degli imballaggi dopo il consumo.

Un esempio concreto di adattamento è la crescente attenzione alla stagionalità e alla produzione locale. Alcuni microbirrifici italiani, vedendo le difficoltà idriche e agricole, stanno stringendo accordi con agricoltori locali per coltivare orzo e luppolo in regioni meno colpite dalla siccità, così da avere filiere più corte e controllate. Inoltre, molti programmano le cotte più grandi nei periodi dell’anno in cui l’acqua è più abbondante, così da evitare i picchi estivi critici. La pianificazione della produzione diventa quindi anche una questione di calendario climatico: a tal proposito, può essere utile uno strumento come il calendario di birre stagionali, che aiuta a distribuire la produzione in base alle materie prime disponibili e alle condizioni ambientali favorevoli.

In definitiva, l’acqua è l’elemento che condiziona tutti gli altri. Senza acqua non si coltiva l’orzo, non cresce il luppolo e non si può far fermentare il mosto. La crisi climatica rende l’acqua una risorsa sempre più preziosa: riuscire a fare “di più con meno” è la sfida che attende ogni birrificio. Chi non innova in tal senso rischia letteralmente di restare all’asciutto nei prossimi decenni.

Emissioni e sostenibilità: l’industria della birra di fronte alla crisi climatica

Occorre ricordare che il settore della birra non è solo una vittima passiva dei cambiamenti climatici, ma anche una fonte di emissioni e impatti ambientali da gestire. Produrre birra, infatti, richiede energia e risorse in ogni fase, e ogni fase ha la sua impronta di carbonio. Pensiamo all’agricoltura: coltivare e maltare l’orzo comporta l’uso di fertilizzanti (che rilasciano protossido di azoto, un gas serra potente) e di carburanti per i macchinari agricoli e le maltarie. La fase di brassaggio in birrificio richiede calore per far bollire il mosto ed elettricità per raffreddarlo e farlo fermentare, energia spesso generata da fonti fossili. L’imbottigliamento e l’infustamento necessitano di vetro, alluminio, acciaio e plastica – materiali che hanno un costo energetico di produzione e riciclo. Infine, la distribuzione della birra fino ai pub e ai negozi avviene principalmente su gomma, con i relativi scarichi di CO₂, e la birra va mantenuta fresca in cella frigorifera (con ulteriore consumo energetico). Insomma, la nostra pinta gelata ha già “consumato” parecchia energia e prodotto emissioni ancor prima di arrivare al bancone.

La buona notizia è che l’industria birraria – specialmente il comparto artigianale, per sua natura creativo e innovativo – sta da tempo mettendo in atto soluzioni per ridurre l’impatto ambientale e diventare più sostenibile. Molte di queste soluzioni aiutano anche ad affrontare meglio la crisi climatica, perché tagliano le emissioni di gas serra e spesso riducono i costi operativi. Vediamone alcune.

I grandi gruppi birrari internazionali hanno cominciato a muoversi in questa direzione: marchi come AB InBev, Heineken, Carlsberg hanno fissato obiettivi di neutralità carbonica tra il 2040 e il 2050, investendo in energie rinnovabili e promuovendo pratiche agricole rigenerative presso i loro fornitori di orzo e luppolo.

Efficienza energetica e fonti rinnovabili. Molti birrifici migliorano continuamente i loro impianti per consumare meno energia. Ad esempio, installano scambiatori di calore per recuperare l’energia termica in vari punti del processo (il calore del mosto bollente viene usato per preriscaldare il batch successivo; il freddo del glicole di raffreddamento viene recuperato per climatizzare ambienti, ecc.). Inoltre, non pochi birrifici artigianali hanno investito in pannelli solari sui tetti per alimentare sale cottura e celle frigorifere con elettricità pulita. C’è chi utilizza biomasse o pellet di scarto per le caldaie al posto del gas. Tutte queste misure riducono le emissioni di CO₂ fossile e l’impronta carbonica per litro di birra prodotto. Alcuni birrifici pionieri dichiarano di essere vicini alla neutralità climatica, e compensano le emissioni residue con riforestazioni o crediti di carbonio certificati.

Riduzione degli sprechi e recupero delle risorse. Ogni birrificio cerca di minimizzare gli scarti lungo la produzione. Le trebbie esauste (il residuo di malto dopo l’ammostamento) vengono quasi sempre cedute ad allevatori locali come mangime, chiudendo il cerchio invece di finire in discarica. Questo non solo evita emissioni da rifiuti in decomposizione, ma riduce anche la necessità di coltivare altro mangime altrove. Un altro fronte è il recupero dell’anidride carbonica: durante la fermentazione la birra “respira” CO₂, che normalmente verrebbe dispersa in atmosfera. Oggi anche microbirrifici possono dotarsi di impianti per recuperare la CO₂ prodotta in fermentazione, immagazzinarla in bombole e riutilizzarla in altre fasi (ad esempio per saturare i fermentatori quando si sposta la birra da un tino all’altro, o per la carbonazione finale nei fusti). In questo modo non solo si evita di acquistare CO₂ prodotta industrialmente (il che fa risparmiare emissioni e costi), ma si riduce anche l’impronta complessiva del birrificio. Approfondiamo questo aspetto nell’articolo recupero di CO₂ nei microbirrifici, dove spieghiamo le tecnologie coinvolte e i benefici ambientali di questa pratica.

Un’altra risorsa da recuperare è il calore: alcuni birrifici usano piccoli sistemi di cogenerazione, producendo insieme birra ed energia elettrica/termica per la rete. Altri guardano persino al biogas: immaginano di convogliare gli scarti organici (trebbie, lieviti esausti) in digestori anaerobici per generare metano “verde” con cui alimentare le caldaie. Queste idee stanno prendendo piede specialmente dove la scala lo consente o in contesti agricoli.

Packaging sostenibile e riuso. L’imballaggio della birra è un nodo cruciale: bottiglie di vetro spesso monouso, lattine di alluminio, confezioni di cartone, fusti di acciaio o plastica. Negli ultimi anni c’è stata una forte spinta verso il packaging sostenibile. Molti birrifici hanno alleggerito le bottiglie di vetro (meno grammi di vetro per unità, quindi meno energia per produrle e trasportarle) o sono passati alle lattine in alluminio riciclato, che hanno un peso inferiore e un riciclo più efficiente. Ne parliamo nell’articolo packaging sostenibile per microbirrifici, dove analizziamo pro e contro di ciascuna scelta.

Il vetro a rendere è tornato in auge in alcuni contesti: i birrifici locali incoraggiano i clienti a riportare le bottiglie vuote, che possono essere sanificate e riutilizzate più volte invece di essere rifuse. Allo stesso modo, i fusti in acciaio riutilizzabili restano la scelta più ecologica per il servizio alla spina, e laddove possibile si cercano sistemi per recuperare anche i fusti in PET (che altrimenti diventano rifiuto dopo un solo uso). Esistono anche progetti innovativi come bottiglie in cartone cerato o bioplastiche, ma sono ancora sperimentali. Sul fronte dello smaltimento, è fondamentale istruire i consumatori: abbiamo pubblicato una guida su come smaltire la birra scaduta responsabilmente, perché anche il corretto riciclo di bottiglie, lattine e liquido residuo contribuisce a un ciclo sostenibile.

Anche la logistica fa la sua parte: ottimizzare i trasporti (camion sempre a pieno carico, distribuzione locale, mezzi refrigerati efficienti) riduce l’impatto. Inoltre, ridurre le distanze di trasporto e privilegiare i mercati locali consente di tagliare le emissioni dei camion (come spieghiamo anche in come ottimizzare la distribuzione). Non a caso, molte taproom e microbirrifici puntano a vendere principalmente sul territorio circostante, sia per filosofia km 0 sia per convenienza ambientale.

Strategie gestionali e finanziarie. Rendere un birrificio sostenibile richiede investimenti. Fortunatamente aumentano i finanziamenti e i bandi pubblici dedicati all’efficientamento energetico e ambientale dei piccoli birrifici. Nel periodo 2023-2025, ad esempio, varie regioni italiane hanno stanziato fondi per l’acquisto di impianti a energia rinnovabile, per l’installazione di sistemi di recupero acque o CO₂, e per progetti di economia circolare nel settore beverage. Abbiamo riassunto queste opportunità nella guida ai finanziamenti per microbirrifici 2025. Un birrificio sostenibile, d’altronde, spesso è anche un birrificio più efficiente economicamente: consuma meno risorse, spreca meno materie prime e si crea un vantaggio competitivo agli occhi di consumatori sempre più attenti all’ecologia.

In sintesi, l’industria della birra si impegna per fare la sua parte nella lotta alla crisi climatica. Ogni pinta prodotta con meno emissioni e meno sprechi è un passo verso un futuro in cui potremo continuare a gustare la nostra bevanda preferita senza pesare troppo sul pianeta. Come evidenziamo nell’articolo birra artigianale e sostenibilità, esistono ormai decine di best practice che i birrifici possono adottare: dall’uso di bottiglie a rendere (vedi anche i sistemi di riutilizzo di bottiglie e fusti) all’ottimizzazione dei consumi energetici in sala cottura, fino al coinvolgimento del personale in formazione ambientale continua. Il percorso è tracciato: birra e ambiente possono coesistere, ma servono innovazione, investimenti e anche un cambiamento culturale nel modo di produrre e consumare.

Oltre la crisi climatica: cultura, scienza e curiosità intorno alla birra

Abbiamo visto come il riscaldamento globale influenzi la birra, ma per comprendere appieno quanto sia preziosa questa bevanda basta esplorare la ricchissima cultura e le curiosità che le ruotano attorno. La birra non è solo un prodotto da proteggere dal clima: è un fenomeno sociale, storico e perfino scientifico che coinvolge milioni di appassionati. Proprio su questo sito abbiamo affrontato tantissimi aspetti del mondo brassicolo, a testimonianza di quanto sia vivo e variegato. Di seguito facciamo una carrellata di alcuni temi – dagli eventi alle tecniche di produzione, dagli stili alle leggende – che mostrano l’universo della birra al di là delle questioni climatiche.

Eventi, locali e tradizioni birrarie

La passione per la birra si esprime anche nei luoghi di ritrovo e negli eventi dedicati. Nel nostro Paese stanno fiorendo taproom e pub dove si celebrano musica, convivialità e ottime birre artigianali. Se siete in Emilia-Romagna, ad esempio, potete scoprire le migliori taproom con eventi e musica live a Bologna (Migliori taproom con eventi e live music a Bologna) per unire concerti e degustazioni in un’unica serata. Chi ha esigenze alimentari particolari può trovare anche locali adatti: esistono infatti diversi pub con birre senza glutine in Italia (pub con birre senza glutine in Italia) attenti ai celiaci ma anche agli amanti del gusto craft – e anche le birre artigianali senza glutine di qualità non mancano: ne abbiamo selezionate alcune tra le migliori birre artigianali senza glutine in Italia. Se vi trovate per la prima volta in un birrificio con mescita e vi sentite spaesati, magari vi chiederete cosa ordinare: per gli amanti delle luppolate c’è una guida su cosa ordinare in un taproom se ami le IPA così da non perdersi tra spine e nomi strani. E per chi si trova a Milano e vuole assaggiare le IPA più interessanti, abbiamo raccolto alcuni consigli sulle taproom dove degustare IPA a Milano.

La cultura birraria va di pari passo con quella gastronomica: molte taproom offrono anche cucina e abbinamenti. Per esempio, sono sempre più diffuse le taproom con food pairing e cucina tipica (taproom con food pairing e cucina tipica) dove piatti locali o gourmet si sposano con le birre alla spina. La birra è un collante sociale formidabile: esistono locali adatti a tutti, dalle taproom kid-friendly o pet-friendly (taproom kid-friendly o pet-friendly) per chi non rinuncia a una pinta in compagnia dei bimbi o del cane, fino ai templi della tradizione birraria da visitare. Se siete in viaggio, potreste organizzare un vero tour: ad esempio consultando la classifica dei birrifici con taproom da visitare nel Nord Italia, un itinerario brassicolo imperdibile tra Veneto, Lombardia e Piemonte. E se volete uno sguardo su tutta la penisola, date un’occhiata anche ai migliori pub e taproom artigianali in Italia.

Non mancano gli eventi dedicati alla birra artigianale: festival, fiere, degustazioni pubbliche, che attraggono migliaia di visitatori. Ce ne sono per tutti i gusti e per tutte le stagioni. Ad esempio, ogni autunno in Italia si tengono rassegne come il Festival delle Birre Artigianali d’Autunno, dove è possibile assaggiare produzioni rare e incontrare i mastri birrai. Ci sono anche manifestazioni originali come Birre a Corte a Marino, nel Lazio, che unisce degustazioni e rievocazioni storiche (vedi Festival Birre a Corte). Per i più avventurosi esistono persino itinerari on the road: abbiamo raccontato un road trip tra le birre artigianali del Centro Italia, tra birrifici e paesaggi mozzafiato, perfetto per una vacanza da appassionati.

La birra entra perfino nelle mode di consumo moderne: basti pensare al fenomeno del Black Friday della birra, con birrifici che aderiscono al tipico periodo di sconti offrendo promozioni brassicole – un segno dei tempi che cambiano anche per questo settore. La birra si intreccia anche con altri ambiti culturali: ad esempio c’è un forte legame tra birra e musica – playlist pensate per esaltare la degustazione non sono una stranezza, e ne abbiamo proposte alcune in birra e musica: playlist per degustare con gusto. Allo stesso modo birra e arte si incontrano in progetti creativi, come etichette disegnate da artisti o birre ispirate a quadri famosi; ne parliamo in birra e arte: quando la cultura incontra il malto. Persino il design delle bottiglie e delle lattine ha un ruolo: in birra artigianale e design mostriamo come un’etichetta possa raccontare una storia, e basti pensare anche ai loghi storici dei brand di birra per scoprire come sono nati e si sono evoluti i marchi più famosi.

Tra le tradizioni intramontabili c’è poi quella del pub crawl (il giro dei pub in una serata). Abbiamo persino spiegato cos’è il pub crawl e come farlo responsabilmente per godersi la serata senza esagerare. E sapete perché si dice “andare a tutta birra” per indicare andare veloci? L’origine di questo curioso modo di dire è raccontata in perché si dice a tutta birra: scoprirete che c’entra una locomotiva a vapore e un ingegnere inglese appassionato della nostra bevanda.

Stili, degustazioni e abbinamenti gastronomici

Il mondo della birra è estremamente vario, con centinaia di stili diversi. Per un neofita può essere difficile orientarsi, ma fortunatamente esistono risorse e guide. Ad esempio, chi inizia a esplorare il panorama artigianale potrebbe chiedersi quali birre provare per prime: una risposta la trovate nei consigli di birre per principianti, con uno “starter kit” di assaggi imperdibili per entrare nel mondo craft. Se invece siete già appassionati di luppoli e IPA, potreste voler confrontare le diverse declinazioni di questo stile: dall’IPA classica alle più intense Double IPA fino alle Triple IPA. In tal caso vi rimandiamo al confronto IPA vs Double IPA vs Triple IPA per capire differenze di gusto, gradazione alcolica e uso del luppolo.

La degustazione della birra è un’arte a sé, come per il vino. Esistono metodi e accorgimenti per assaporare al meglio ogni sorso. Abbiamo pubblicato una guida alla degustazione della birra artigianale con consigli su temperatura di servizio, scelta del bicchiere e ritmo di assaggio. Per chi vuole spingersi oltre e valutare le birre come un giudice, esistono anche corsi e certificazioni: ad esempio si può diventare Beer Sommelier o giudice BJCP. Ne parliamo rispettivamente in sommelier della birra e in come diventare Beer Judge BJCP per chi sogna di trasformare la passione in competenza professionale.

Ogni stile birrario ha le sue particolarità. Sul nostro blog trovate schede e approfondimenti su tantissimi stili: ad esempio le differenze tra una lager e una pils (lager vs pils) per capire due pilastri delle bionde; oppure una classifica delle migliori IPA da provare nell’anno corrente. Ami le birre scure? Abbiamo articoli dedicati alle stout italiane (stout italiane – consigli e prezzi e migliori stout italiane) con chicche da non perdere. Preferisci le birre acide e rinfrescanti? C’è una guida alle sour ale estive made in Italy, perfette per l’aperitivo. Insomma, ce n’è per ogni gusto e stagione!

Un capitolo a parte meritano gli abbinamenti birra-cibo, un campo in cui la birra artigianale sta velocemente recuperando terreno sul vino. Ormai sappiamo che una stout robusta può accompagnare magnificamente ostriche o dessert al cioccolato, mentre una witbier agrumata si sposa bene con piatti speziati. Per aiutare i lettori, abbiamo creato diverse guide regionali e tematiche: ad esempio birra e gastronomia italiana: abbinamenti regionali, dove esploriamo come abbinare le birre ai piatti tipici di ogni regione, o consigli specifici come che birra artigianale bere con la pizza napoletana. Per restare nel Lazio, vi siete mai chiesti quali siano le birre ideali con la cucina romana da strada? Abbiamo selezionato 5 accoppiate birra & street food romano assolutamente da provare. Lo stesso vale per i piatti tipici laziali (dalla classica porchetta dei Castelli Romani alle paste all’amatriciana) o per gli abbinamenti con i formaggi locali (birra & formaggi locali). Vogliamo parlare dei dolci? Nessun problema: esiste anche una guida per capire quale birra abbinare ai dessert, perché una barley wine o una imperial stout accompagnano splendidamente la pasticceria secca, mentre una kriek fruttata si accosta bene a una cheesecake.

Un trend estivo molto popolare è l’aperitivo con birre leggere: per questo abbiamo stilato una lista di birre session ideali per l’aperitivo estivo – birre a bassa gradazione, rinfrescanti e aromatiche perfette per combattere la calura. Chi volesse scoprire quali varietà di luppolo usare per birre leggere ma profumate, può consultare la lista dei migliori luppoli europei per Session IPA. E se non bevete alcol? Anche in quel caso la birra offre opzioni: c’è un articolo che esplora la birra analcolica e i suoi benefici, perché il panorama moderno vede un fiorire di birre “0.0” sempre più gustose, ottime per chi vuole moderare l’assunzione di alcol.

Tecniche di produzione e innovazione brassicola

Dietro ogni pinta c’è un processo produttivo complesso e affascinante. I birrai artigianali sono costantemente alla ricerca di modi per migliorare le loro birre o crearne di nuove. Sul blog trattiamo anche aspetti tecnici e innovazioni di produzione, utili sia ai birrai homebrewer sia ai semplici curiosi che vogliono capire come nasce la loro bevanda preferita.

Ad esempio, avete mai sentito parlare di mash efficiency? È l’efficienza di estrazione degli zuccheri dal malto. Ottenere un buon rendimento senza sprecare malto è importante per qualità e costi. Nel pezzo mash efficiency: ottimizzare la resa senza sacrificare l’aroma spieghiamo tecniche per migliorare l’estrazione mantenendo un ottimo profilo aromatico. Un’altra fase critica è la fermentazione: controllare temperatura e pressione può fare la differenza. Un tema attuale è la fermentazione in pressione (tecnica spunding): con attrezzature adeguate si può fermentare in tank chiusi a pressione moderata, tecnica che permette di catturare naturalmente la CO₂ sviluppata e di ottenere birre più pulite. Abbiamo un approfondimento su spunding e fermentazione in pressione, molto utile per microbirrifici che vogliono ridurre l’aggiunta di CO₂ e l’ingresso di ossigeno.

L’innovazione corre veloce anche sul fronte degli ingredienti. Si sperimentano cereali alternativi e ingredienti insoliti per creare birre originali o per adattarsi alle materie prime disponibili. Nel mondo anglosassone, ad esempio, si producono birre con sorgo, miglio o addirittura pane recuperato (per limitare lo spreco alimentare). Nel nostro articolo cereali alternativi e tendenze globali esploriamo questi adjunct insoliti: pensate che in alcune birre giapponesi si usa il riso maltato come base fermentabile, mentre altrove c’è chi aggiunge quinoa o grano saraceno per aromi particolari. Anche in Italia si iniziano a vedere birre con castagne, con cereali antichi o persino con il pane raffermo, in parte per creatività e in parte per adattarsi all’orzo che può scarseggiare.

Un campo di frontiera è quello dei lieviti innovativi. Oltre al classico Saccharomyces cerevisiae, oggi i birrai testano ceppi non tradizionali: lieviti selvaggi, lieviti da vino, oppure lieviti selezionati in laboratorio per caratteristiche uniche (senza OGM). Recentemente sono arrivati i lieviti “thiolized” per le IPA: lieviti capaci di liberare tioli aromatici dal mosto ed esaltare così le note tropicali della birra. Ne parliamo dettagliatamente in thiolized IPA e liberazione di tioli. Queste IPA di nuova generazione hanno profumi intensissimi di frutta esotica, grazie appunto a questi lieviti speciali. Un esempio di come scienza e birra vadano a braccetto per innovare mantenendo viva la tradizione.

C’è poi l’aspetto della maturazione e affinamento: se un tempo la birra riposava solo in botte, oggi si sperimentano metodi per ottenere effetti simili più rapidamente. Un articolo interessante è legni alternativi alla botte, che spiega come usare chip di legno, cubetti tostati o grandi foeder (botti) per conferire note boisée alla birra senza attendere anni. Questa tecnica è usata ad esempio per birre affumicate o “barricate” (abbiamo anche la ricetta di una Rauchbier affumicata per i più intraprendenti). All’opposto, un problema comune è la stabilità e la limpidezza della birra: avete presente quel leggero intorbidimento a bassa temperatura chiamato chill haze? Ebbene, esistono accorgimenti per prevenirlo, come spieghiamo nella guida per prevenire il chill haze. Si va dal dare tempo sufficiente alla maturazione a freddo all’uso di chiarificanti naturali.

La scienza brassicola è davvero vasta. Sul nostro sito troverete approfondimenti sulla chimica della birra, ad esempio un articolo sulle molecole e reazioni chimiche della birra che spiega come polifenoli, iso-α-acidi, esteri e altre sostanze contribuiscano al gusto e agli aromi (sapevate che il mircene è un terpene del luppolo responsabile di note agrumate? Lo raccontiamo in un articolo dedicato al mircene e all’aroma della birra). Trattiamo anche i difetti della birra e come riconoscerli: ad esempio cos’è il diacetile (odore di burro) o l’acetaldeide (sentore di mela verde) – trovate informazioni nell’articolo sui difetti aromatici (off-flavor) più comuni e in approfondimenti specifici come diacetile nella birra.

Insomma, la birra è un mondo infinito: dietro a ogni domanda ce n’è un’altra. Ad esempio, sapete come si fa la birra in casa? Abbiamo per questo una guida completa all’homebrewing artigianale che illustra passo passo come creare la vostra prima cotta. E per i più creativi esistono ricette davvero particolari: abbiamo parlato di birre futuristiche che integrano tecnologie insolite (birre futuristiche), birre gluten-free fatte con cereali alternativi (con tanto di guida per progettare una birra senza glutine) e perfino di beer cocktail per i bartender più audaci (vedi beer cocktail in taproom). In poche parole, l’innovazione brassicola non si ferma mai, un po’ come la sete di conoscenza degli appassionati!

Salute, consumo responsabile e curiosità scientifiche

Un altro aspetto importante della birra riguarda la salute e il consumo consapevole. Come tutte le bevande alcoliche, la birra va gustata con moderazione. Ma quali sono gli effetti del bere birra sul nostro organismo? Sul blog abbiamo esplorato sia i possibili benefici di un consumo moderato sia i rischi degli eccessi o di situazioni particolari. Per esempio, alcuni studi suggeriscono che bere birra con moderazione potrebbe apportare antiossidanti e minerali utili – lo raccontiamo in a cosa fa bene bere la birra, dove sfatiamo anche qualche mito di troppo sui supposti “superpoteri” curativi della bionda. D’altro canto, è giusto conoscere le controindicazioni: gli effetti negativi della birra includono aumento di peso, sovraccarico per fegato e reni, e interferenze con la digestione – soprattutto se si esagera.

Per quanto riguarda la linea, molti si chiedono quale sia la birra “che non fa ingrassare”. Ovviamente tutto fa ingrassare se assunto in eccesso, ma un articolo risponde a qual è la birra che non fa ingrassare, fornendo consigli sulle opzioni più leggere (birre meno alcoliche, meno caloriche) per chi sta attento alle calorie. In generale, comunque, la parola d’ordine è moderazione: bere due o tre birre al giorno tutti i giorni non è una buona idea, e in bere due birre al giorno fa male? spieghiamo i limiti suggeriti dai medici.

Ci sono poi situazioni particolari: birra e sport, birra e alcune patologie, le interazioni con farmaci. Abbiamo risposto a tante curiosità in questo ambito. Ad esempio, qualcuno sostiene che la birra faccia bene dopo lo sport per reintegrare i sali: in realtà l’acido lattico prodotto dal corpo e quello presente in alcune birre (come le gose) sono temi affascinanti, trattati in birra e acido lattico nello sport. E che dire degli ormoni dello stress? In birra e cortisolo spieghiamo se una birra può davvero “rilassarci” o se è solo un’illusione (spoiler: un bicchiere può aiutare a rilassare grazie all’effetto sedativo dell’etanolo, ma non è certo una cura per lo stress). Argomenti come birra e tiroide, birra e ferritina, birra e prostata sono tutti affrontati in articoli dedicati (es: birra e salute della prostata), dove analizziamo studi scientifici per capire se esistono correlazioni. Ad esempio, un consumo moderato di birra potrebbe ridurre leggermente il rischio di calcoli renali (per via dell’azione diuretica), ma aumentare i livelli di acido urico; ogni aspetto va valutato con rigore caso per caso.

Naturalmente, non mancano i miti da pub da sfatare. C’è chi giura che la birra scura “faccia sangue” o che la birra “cruda” sia un toccasana per l’anemia: nel nostro articolo birra e anemia approfondiamo questo tema, scoprendo che in realtà l’apporto di ferro della birra è minimo e non può certo curare un’anemia, benché storicamente si credesse il contrario. Un altro mito frequente è usare la birra come rimedio casalingo: c’è chi la beve contro l’influenza o per dormire meglio. In birra e influenza e in birra per rilassarsi trovate cosa dice la scienza: un bicchiere di birra può favorire il rilassamento grazie all’alcol, ma non è certo un sedativo “sano” e anzi l’abuso di alcol deprime il sistema immunitario.

Tra le curiosità scientifiche c’è anche l’uso della birra al di fuori del bere: ad esempio per la cura dei capelli o della pelle. Si sente dire che lavarsi i capelli con la birra li renda lucenti, o che fare impacchi di birra sulla pelle abbia effetti benefici. Nel pezzo cosa fa la birra sulla pelle esaminiamo la veridicità di queste affermazioni cosmetiche. Oppure, un uso ancora più bizzarro: c’è chi usa la birra per pulire i vetri o lucidare i mobili! Funziona davvero? Lo abbiamo testato in birra per pulire i vetri, e possiamo anticiparvi che esistono soluzioni migliori (anche se i vetri profumeranno di malto…).

Infine, ricordiamo sempre l’importanza del consumo responsabile. Bere birra è un piacere, ma occorre conoscere i propri limiti. Iniziative come il Guidatore Designato (chi guida non beve) e campagne anti-binge drinking contribuiscono fortunatamente a sensibilizzare il pubblico, spiegando soprattutto ai più giovani i rischi dell’abuso di alcol e come evitarlo pur divertendosi (nel nostro blog affrontiamo il tema binge drinking per mettere in guardia dai pericoli del “bere per sballarsi”).

Oltre a tutto questo, il modo di consumare birra sta cambiando. La nuova generazione di beer lover italiani mostra gusti e priorità diverse rispetto al passato: più attenzione alla qualità e alla varietà, curiosità verso gli stili locali e maggiore consapevolezza. Le tendenze emergenti nel consumo di birra indicano un crescente interesse per birre dal profilo più “salutare” (come le analcoliche o le low-carb), per esperienze di degustazione moderate e per l’autenticità del territorio. Anche questo fa parte del panorama brassicolo attuale: un settore che evolve con la società, pronto ad accogliere nuove idee senza dimenticare la tradizione.

Birra e crisi climatica: conclusioni e prospettive

Giunti al termine di questa lunga analisi, appare chiaro come birra e crisi climatica siano legate da un rapporto complesso. Da un lato, il cambiamento del clima minaccia concretamente la filiera della birra: riduce la disponibilità di orzo e luppolo, impatta sulle risorse idriche e costringe l’industria ad adattarsi per sopravvivere. Dall’altro lato, il settore birrario stesso ha un ruolo nella sfida climatica, potendo contribuire a mitigare il global warming attraverso pratiche più sostenibili e innovative. I dati e gli studi scientifici che abbiamo esaminato parlano chiaro: se la traiettoria del riscaldamento globale non cambierà, in futuro avremo probabilmente meno birra, più costosa e dal gusto differente. Questo scenario, per quanto possa sembrare secondario rispetto ad altri effetti ben più drammatici del clima, è emblematico di come ogni aspetto della nostra vita – anche il piacere di una pinta tra amici – possa essere toccato dalla crisi ambientale.

Le prospettive però non sono necessariamente pessimistiche. La consapevolezza del problema sta crescendo sia tra i produttori sia tra i consumatori. Sempre più birrifici, grandi e piccoli, investono in soluzioni green per ridurre l’impatto ambientale e rendere la propria attività resiliente agli shock climatici. Allo stesso tempo, i consumatori possono fare la loro parte scegliendo prodotti di aziende sostenibili, sostenendo le filiere locali e riducendo gli sprechi (ad esempio riciclare correttamente bottiglie e lattine, ed evitare di far scadere la birra in dispensa, sono piccoli gesti utili). Iniziative di filiera corta – come i birrifici agricoli che coltivano direttamente il proprio orzo – e collaborazioni tra agricoltori e mastri birrai mostrano che adattarsi è possibile. La scienza e la tecnica offrono strumenti per innovare: dalle nuove varietà di orzo e luppolo resistenti al clima ai sistemi di riciclo integrato in birrificio.

Possiamo immaginare due futuri possibili. In uno scenario, se ignorassimo gli allarmi, ci ritroveremmo con birre sempre più rare, costose e forse standardizzate, con ingredienti sintetici a sopperire quelli naturali scomparsi. Nell’altro scenario, invece, la filiera birraria diventa un esempio di adattamento sostenibile: campi di orzo e luppolo coltivati in modo rigenerativo, birrifici alimentati da energie rinnovabili, packaging circolari e comunità locali unite per difendere i propri prodotti tipici. Sta a noi, come società, scegliere la strada da percorrere. Ogni piccolo passo – dall’installazione di pannelli solari in un birrificio, al preferire una birra a km 0, fino alle grandi decisioni politiche per contenere il global warming – può fare la differenza.

La prossima volta che alzeremo un boccale, quindi, ricordiamoci di questo intreccio: nel riflesso ambrato della birra c’è il riflesso del nostro clima. Brindiamo alla salute del pianeta e impegniamoci perché la crisi climatica non ci tolga il gusto – in tutti i sensi – di vivere momenti felici insieme, magari proprio davanti a una buona birra artigianale. Cin cin!

Fonti

[1] [2] [3] [4] Birra più costosa in un mondo più caldo – Le Scienze

https://www.lescienze.it/news/2018/10/16/news/clima_riduzione_rese_orzo_birra_aumento_prezzi-4154822/

[5] [6] [7] Per produrre la birra ci vuole il luppolo. Ma l’Italia è a secco | L’Espresso

https://lespresso.it/c/economia/2023/7/25/per-produrre-la-birra-ci-vuole-il-luppolo-ma-litalia-e-a-secco/2496

[8] [9] [10] [11] [12] [13] Il cambiamento climatico modificherà il sapore (e il prezzo) della birra europea?

https://www.geopop.it/il-cambiamento-climatico-modifichera-il-sapore-e-il-prezzo-della-birra-europea/

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5 commenti

  1. Articolo molto dettagliato! Non avevo idea che la siccità potesse influenzare così tanto il prezzo della birra. Grazie per le fonti scientifiche.

    • @Marco R. Vero, è allarmante. Ma i birrifici stanno già adottando soluzioni green, come il riciclo dell’acqua. Speriamo basti!

  2. Interessante, ma un po’ allarmistico. La birra artigianale si adatterà, come sempre. Avete link a studi su varietà di orzo resistenti?

  3. Ottimo post! Ecco uno studio sul luppolo e caldo: NCBI. I birrifici locali sono la chiave.

  4. Mi ha fatto riflettere. Comprerò più birre da birrifici sostenibili d’ora in poi. Grazie per l’articolo completo!

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