Quanto guadagna un pub al mese? Sfatare i miti e capire i reali margini operativi

La domanda sulle potenzialità di guadagno di un pub è naturale per chiunque valuti questo investimento. Tuttavia, la risposta è sfuggente e spesso infarcita di miti. Quanto guadagna un pub al mese dipende da un’equazione complessa in cui entrano gioco decine di variabili. Alcuni parlano di margini altissimi, altri dipingono un settore in crisi. La verità, come sempre, sta nel mezzo e nella capacità gestionale. Questo articolo non promette cifre facili, ma fornisce gli strumenti per costruire un modello finanziario realistico. Analizzeremo le principali voci di fatturato di un pub, i costi fissi e variabili che li erodono, e arriveremo a definire un range plausibile di guadagno netto mensile. Parleremo di differenze sostanziali tra un pub di quartiere e una taproom di tendenza, dell’impatto della cucina e della gestione degli acquisti. L’obiettivo è trasformare la curiosità in conoscenza operativa, permettendo a futuri gestori di porsi le domande giuste prima di investire. Il guadagno non è un dato magico, ma il risultato finale di scelte strategiche, controllo dei costi e comprensione profonda del proprio mercato di riferimento.

Le fonti di ricavo: oltre la birra alla spina

Il fatturato di un pub è un mosaico composto da tessere di dimensioni diverse. La principale è senza dubbio la vendita di bevande, ma ignorare le altre significa limitare fortemente il potenziale. La vendita di birra rappresenta solitamente il 60-75% del totale. All’interno di questa voce, il mix tra birra alla spina, birra in bottiglia/lattina e analcolici è cruciale. La birra alla spina ha generalmente un margine unitario più alto (vedremo dopo il calcolo) e garantisce freschezza. Una fornitura di birra artigianale di qualità, come quella proposta da La Casetta Craft Beer Crew, attira un pubblico disposto a spendere di più per l’eccellenza. Le bottiglie e le lattine, specialmente quelle di edizioni limitate o di birre particolari da regalare quasi come trofei, possono avere un mark-up anche superiore. Non bisogna trascurare le altre bevande: vino, superalcolici, cocktail (inclusi i beer cocktail), soft drink, caffè e acqua. Un’offerta equilibrata incontra le esigenze di tutto il gruppo di clienti.

La seconda tessera del mosaico è il cibo. Anche un pub che non ha una cucina completa può incrementare significativamente il guadagno mensile con un’offerta di gastronomia di qualità. Taglieri di salumi e formaggi, panini gourmet, patatine fritte speciali, dessert semplici. L’aggiunta del cibo non solo aumenta il ticket medio, ma allunga la permanenza del cliente e lo invoglia a consumare un’altra birra. Per i pub con cucina, il food può arrivare a rappresentare il 40-50% del fatturato. La terza fonte di ricavo, spesso sottovalutata, è quella accessoria: la vendita di merchandise (felpe, bicchieri, sottobicchieri), l’organizzazione di eventi a pagamento (serate di degustazione, quiz, live music), la vendita di birra artigianale da asporto in formato bottiglia o fusto, o addirittura il noleggio dello spazio per feste private. Un servizio come l’angolo spillatore birra per matrimonio può diventare un’attività collaterale molto redditizia nei weekend. Infine, la gestione accorta degli orari: un servizio di aperitivo o di dopo-cena con proposte dedicate può spalmare il picco di clientela e generare ricavi in fasce orarie normalmente morte.

I costi fissi: l’inevitabile zavorra mensile

Prima di poter parlare di guadagno, bisogna sottrarre dal fatturato tutti i costi. I costi fissi sono quelli che si presentano puntuali ogni mese, indipendentemente dal volume d’affari. Il più impattante è solitamente l’affitto del locale. In centro città o in zone molto frequentate, può facilmente superare i 3.000-5.000 euro al mese per locali di dimensioni medie. In periferia o in paesi, può scendere sotto i 1.500 euro. A questo si aggiungono le utenze: luce, gas, acqua e telecomunicazioni. Un pub con impianto di spillatura, frigoriferi espositivi, illuminazione d’atmosfera e climatizzazione ha consumi energetici elevati. Una bolletta dell’elettricità di 800-1.500 euro al mese non è infrequente. Poi ci sono le tasse e i contributi: l’IMU, la TARI, i contributi INPS per il titolare e eventuali costi per consulenze fiscali e commercialistiche. Un altro capitolo importante è il personale. Anche il gestore che lavora in proprio deve assegnarsi uno stipendio realistico come costo. Con dipendenti, il costo del lavoro (stipendi netti, contributi, formazione) diventa la voce fissa più rilevante dopo l’affitto. Per un pub aperto sette sere a settimana con due-tre persone a turno, il costo del personale può oscillare tra i 4.000 e gli 8.000 euro mensili. Infine, ci sono i costi fissi “soft”: l’abbonamento a servizi di musica (SCF), l’assicurazione RC e incendio, i canoni per il pos, i software di gestione, e un budget per la manutenzione ordinaria e straordinaria delle attrezzature, incluso un regolare servizio di pulizia spillatore birra per mantenere l’impianto in efficienza. Sommando tutte queste voci, un pub medio può avere costi fissi mensili che partono da 5.000-6.000 euro (per un micropub gestito in famiglia in provincia) e salgono fino a 15.000-20.000 euro e oltre per un locale grande e ben posizionato in città.

I costi variabili: dove l’efficienza fa la differenza

I costi variabili sono direttamente legati al volume delle vendite. Più si vende, più aumentano, ma aumentano in proporzione. La loro gestione efficiente è la chiave per espandere il margine operativo di un pub. Il costo della merce venduta (COGS) è il principale. Per la birra, il calcolo del prezzo della birra artigianale al pubblico parte dal costo di acquisto. Se un fusto da 30 litri di una Double IPA costa al pub 90 euro (iva esclusa), il costo al litro è di 3 euro. Considerando lo spreco e la schiuma, la resa netta è di circa 28 litri, portando il costo effettivo a circa 3,21 euro al litro. Servendo birra in pinte da 0,5L, il costo per singola erogazione è di circa 1,60 euro. Se la pinte viene venduta a 6 euro, il margine lordo sulla merce è del 73%. Questo è un esempio con una birra artigianale di pregio. Per birre industriali, il costo di acquisto è inferiore, ma anche il prezzo di vendita lo è, e il margine percentuale può essere simile o addirittura più alto. Tuttavia, il margine in valore assoluto (euro) è maggiore sulle birre di qualità. Lo stesso ragionamento vale per vino, superalcolici e cibo. Il food cost, cioè il rapporto percentuale tra il costo delle materie prime di un piatto e il suo prezzo di vendita, dovrebbe idealmente stare tra il 25% e il 35%. Gestire bene i costi variabili significa fare un’ottima selezione dei fornitori, controllare gli sprechi in cucina e al banco, e gestire il magazzino in modo da rispettare la shelf life della birra e di tutti i prodotti deperibili. Un altro costo variabile è quello delle commissioni sui pagamenti elettronici (circa 1-2% del fatturato carta). Infine, ci sono i costi di marketing e promozione: le campagne social, gli eventi speciali, le degustazioni. Anche se variabili, vanno monitorati per valutarne il ritorno sull’investimento.

Dai ricavi lordi al guadagno netto: il conto finale

Ora possiamo tirare le somme. Immaginiamo un pub di medie dimensioni, con cucina, in una buona posizione di una città di media grandezza.

  • Fatturato Mensile Lordo: 40.000 euro.

    • Bevande: 25.000 euro (62.5%)
    • Cibo: 14.000 euro (35%)
    • Altro (merchandise, eventi): 1.000 euro (2.5%)
  • Costo della Merce Venduta (COGS): 14.000 euro (35% del fatturato, un buon target).

    • Costo bevande: 8.750 euro (35% del ricavo bevande)
    • Costo cibo: 5.110 euro (36.5% del ricavo cibo)
    • Costo altro: 140 euro
  • Margine Lordo: 40.000 – 14.000 = 26.000 euro.

  • Costi Fissi Operativi: 18.000 euro.

    • Affitto: 4.000 euro
    • Personale (6 dipendenti + titolare): 9.000 euro
    • Utenze (luce, gas, acqua): 1.800 euro
    • Tasse e licenze: 1.200 euro
    • Manutenzione, pulizie professionali (incl. pulizia spillatore), assicurazioni: 1.000 euro
    • Ammortamenti (arredi/attrezzature): 1.000 euro
  • Guadagno Operativo (EBITDA): 26.000 – 18.000 = 8.000 euro.

  • Oneri Finanziari e Straordinari: 1.000 euro (interessi su eventuali finanziamenti, spese impreviste).

  • Guadagno Netto Mensile (Prima delle Imposte): 7.000 euro.

Da questi 7.000 euro, il titolare dovrà poi pagare le imposte sul reddito (IRPEF). Questo esempio mostra un’attività sana e redditizia. Tuttavia, basta una variazione del 20% in negativo del fatturato (da 40.000 a 32.000 euro) o un aumento dei costi fissi per vedere il guadagno netto mensile ridursi a poche centinaia di euro o addirittura azzerarsi. La fragilità del modello è evidente.

Casi studio: confronto tra tre modelli di pub

  1. Il “Pub di Quartiere” (Senza Cucina):

    • Fatturato: 15.000 €/mese (95% bevande).
    • COGS: 5.250 € (35%).
    • Margine Lordo: 9.750 €.
    • Costi Fissi: Affitto basso (1.200 €), titolare + 1 dipendente (3.500 €), utenze (800 €), altre spese (700 €). Totale: 6.200 €.
    • Guadagno Netto: Circa 3.550 €/mese. Modello a basso rischio, ma con tetto di guadagno limitato. La redditività poggia sulla gestione familiare e sui bassi costi fissi.
  2. La “Taproom Craft” (Food Limitato):

    • Fatturato: 28.000 €/mese (80% bevande, 20% food semplice).
    • COGS: 9.800 € (35%). Alta percentuale di birra artigianale con margine solido.
    • Margine Lordo: 18.200 €.
    • Costi Fissi: Affitto in zona trendy (2.800 €), team specializzato (6.500 €), utenze alte per celle frigo (1.500 €), marketing e eventi (800 €), altre spese (900 €). Totale: 12.500 €.
    • Guadagno Netto: Circa 5.700 €/mese. Modello basato sulla competenza e sulla proposta di prodotto di nicchia. Richiede un pubblico fedele e disposto a pagare.
  3. Il “Brewpub con Cucina” (Grande Locale):

    • Fatturato: 65.000 €/mese (55% food, 40% bevande, 5% altro).
    • COGS: 24.050 € (37% – food cost più alto).
    • Margine Lordo: 40.950 €.
    • Costi Fissi: Affitto elevato (5.500 €), personale numeroso (18.000 €), utenze altissime (2.800 €), ammortamenti attrezzature cucina (1.500 €), altre spese (1.700 €). Totale: 29.500 €.
    • Guadagno Netto: Circa 11.450 €/mese. Modello ad alto potenziale, ma con rischi e costi gestionali massimi. La complessità della cucina è un moltiplicatore di problemi e opportunità.

Strategie per massimizzare il guadagno mensile

Il guadagno non si protegge solo controllando i costi, ma anche agendo strategicamente sui ricavi. Ecco alcune direzioni.

  • Ottimizzazione dell’Assortimento: Analizzare costantemente le vendite per promuovere gli articoli a più alto margine contributivo (la differenza tra prezzo e costo variabile). Una Belgian Dark Strong Ale venduta a 7€ per calice da 0.2L ha un contributo per copertura costi fissi spesso superiore a una birra industriale.
  • Gestione del Personale: Allineare i turni al flusso di clientela reale. Un eccesso di personale in serate morte erode il guadagno. Investire nella formazione per aumentare le vendite addizionali (upselling).
  • Controllo degli Sprechi: Implementare sistemi di misurazione degli sprechi di birra allo spillatore, in cucina, e monitorare le scadenze. Un semplice diario delle spillature può rivelare anomalie.
  • Dinamica dei Prezzi: Introdurre orari felici (happy hour) per attirare clientela in fasce morte, e prezzi premium per i prodotti più ricercati in orari di punta.
  • Sviluppo di Ricavi Accessori: Come detto, l’angolo spillatore per eventi privati o il beer cocktail in taproom possono essere fonti di reddito con costi variabili molto contenuti.
  • Fidelizzazione: Un cliente fedele vale più di dieci clienti occasionali. Programmi loyalty, serate a tema per degustatori, comunicazione via social mirata costruiscono una base solida.

La differenza tra un pub che sopravvive e uno che prospera spesso sta nell’applicazione metodica di questi principi, unita a una passione autentica per l’ospitalità e per il prodotto.

FAQ sul guadagno di un pub


tl;dr

Il guadagno mensile di un pub è estremamente variabile, tipicamente compreso tra il 10% e il 20% del fatturato lordo dopo tutti i costi ma prima delle tasse sul reddito. Un pub ben gestito con un fatturato di 30.000€ può realisticamente generare un utile netto di 3.000-6.000€ al mese. Il successo dipende dalla gestione oculata dei costi fissi (soprattutto affitto e personale), dal controllo dei costi variabili (food & beverage cost) e dalla capacità di diversificare le fonti di ricavo oltre la semplice vendita di birra.

🍻 Novità, sconti e promozioni:
iscriviti alla newsletter!

Non inviamo spam! Puoi saperne di più leggendo la nostra Informativa sulla privacy

5 commenti

  1. Finalmente un’analisi che va oltre i luoghi comuni! Gestisco un piccolo pub in provincia da tre anni e riconosco ogni passaggio. La parte sui costi fissi è spietatamente vera, specialmente le bollette. Una domanda: avete suggerimenti su software specifici per il controllo dello spillaggio e dello stock che non costino un rene?

    • @Marco R., per il controllo stock io uso un foglio Excel molto semplice che ho creato, integrato con le ricevute del fornitore. Per lo spillaggio, purtroppo, non ho trovato di meglio del classico diario cartaceo e di pesare il fusto prima e dopo. È noioso ma funziona. Qualcuno ha esperienze diverse?

  2. Articolo utilissimo per chi sogna di aprire! Mi ha fatto riconsiderare l’idea del brewpub, forse è troppo rischioso per iniziare. I casi studio sono illuminanti. Secondo voi, nel 2026, ha ancora senso aprire un pub “tradizionale” o bisogna per forza puntare sul craft e sul food per differenziarsi?

  3. Approfondimento eccellente. Condivido appieno l’importanza del margine contributivo. Troppo spesso i gestori si fissano sul prezzo di acquisto basso, ma vendere una IPA industriale a 4€ dà un ritorno in euro inferiore a una APA artigianale venduta a 6,5€, anche se la percentuale di margine è simile. La qualità paga, anche nei conti. Per chi volesse approfondire le tecniche di pricing nel food&beverage, questo articolo di Harvard Business Review (in inglese) è molto chiaro.

  4. Interessante, ma mi sembra un po’ ottimista il margine del 15%. Nella mia zona (Nord Italia, città media) la concorrenza è spietata e i clienti sono sempre più attenti al portafoglio. Stiamo facendo fatica a mantenere un 8-9% netto, nonostante un fatturato dignitoso. Forse servono più dati su come le macro-aree geografiche influenzano questi numeri.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *