Chi È il Dio della Birra?

Meta description: Dalle antiche civiltà ai miti nordici, scopri chi è il dio della birra: un viaggio tra divinità sumere, dee egizie della fermentazione, spiriti protettori e leggende brassicole che celebrano la bevanda più antica del mondo.

Introduzione: Sin dall’alba della civiltà, gli esseri umani hanno attribuito al vino e alla birra origini divine e protettori celesti. Ma esiste davvero un dio della birra? La domanda ci porta indietro nel tempo, quando la birra era così importante nella vita quotidiana da meritare l’attenzione degli dèi. In effetti, molte culture antiche veneravano divinità legate alla birra, alla fermentazione e alla convivialità che essa portava. Dai Sumeri agli Egizi, dai Celti ai popoli nordici, incontriamo dee che presiedono al sacro atto di produrre birra e dèi che assicurano boccali sempre colmi per i loro fedeli. In parallelo, la tradizione popolare europea ha creato figure leggendarie – come il famoso Gambrinus – talmente amate da essere chiamate “divinità” birrarie in senso figurato. In questo articolo esploreremo le principali divinità della birra nella storia: scopriremo chi era il dio (o più spesso la dea) della birra per Sumeri ed Egizi, quali spiriti tutelari onoravano i mastri birrai medievali e come la birra abbia intrecciato la sfera del sacro e del profano. Prepariamoci a un viaggio tra mito e storia, in onore di quella schiumosa bevanda che da sempre accende l’immaginazione umana.

Divinità antiche della birra: dalle dea sumere ai culti nordici

Le prime testimonianze di un dio (o più spesso una dea) della birra risalgono alla notte dei tempi, segno del ruolo cruciale che la birra ebbe nelle società antiche. Nella culla della civiltà, la Mesopotamia, la birra era considerata un vero dono divino. I Sumeri – che furono tra i primissimi birrai della storia – veneravano Ninkasi, la dea della birra e della fermentazione. Un inno sumero di 3900 anni fa dedicato a Ninkasi contiene la più antica ricetta della birra conosciuta. Questa poesia, nota come Inno a Ninkasi, esalta la dea come “colei che soddisfa il desiderio e appaga il cuore”, proprio ciò che fa una buona birra. Ninkasi veniva celebrata quotidianamente ogni volta che si produceva birra: i mastri birrai pronunciavano il suo nome per propiziarsi una fermentazione perfetta. Nell’immaginario sumero, quindi, la dea della birra era una figura benevola che assicurava qualità alla bevanda e gioia agli uomini. Interessante notare che, secondo il mito, Ninkasi sarebbe nata dall’unione di due elementi acquatici (il dio Enki, signore dell’acqua dolce, e la dea Ninti, signora delle acque sotterranee): la birra viene vista come frutto dell’acqua, ulteriore prova di quanto fosse ritenuta fondamentale e “naturale”.

Anche nell’antico Egitto troviamo figure divine legate alla birra. In realtà gli Egizi avevano più di una divinità associata a questa bevanda. Osiride, il popolare dio dell’oltretomba e della rigenerazione, era secondo alcuni miti colui che insegnò agli uomini l’arte della birrificazione – un attributo particolare, visto che Osiride è più noto come dio del vino e dell’agricoltura. Ma la birra in Egitto era talmente importante (veniva usata come moneta e data persino come parte del salario agli operai che costruivano le piramidi) che finì sotto la tutela di molte divinità: ad esempio Tenenet (o Tjenenet) era una dea minore esplicitamente preposta alla birra e al parto. Il suo nome sembra derivare da tenemu, termine egizio per indicare la birra. Tenenet proteggeva la produzione di birra e veniva invocata per ottenere fermentazioni fortunate, oltre ad assistere le donne in travaglio – un’accoppiata insolita ma che denota come birra e fertilità fossero concetti legati (la birra era chiamata “pane liquido” e vista anche come nutrimento rinvigorente per le madri). Un’altra dea egizia associata alla birra era Hathor, la dea della gioia, dell’amore e dell’ebbrezza. Ogni anno gli Egizi celebravano la Festa dell’Ubriachezza in onore di Hathor, bevendo grandi quantità di birra per rivivere un particolare mito: secondo la leggenda, la dea leonessa Sekhmet stava per sterminare l’umanità in preda all’ira, ma il dio Ra la fermò facendola ubriacare con birra rossa come sangue. Sekhmet bevve pensando fosse sangue, si addormentò ubriaca e l’umanità fu salva. Da allora, gli Egizi commemoravano quel salvataggio divino bevendo birra a fiumi, quasi “imitando” gli dèi. Questo episodio sottolinea quanto la birra avesse persino un ruolo mitologico di salvezza: nella visione egizia, è letteralmente la birra a placare la furia di una divinità e a salvare il mondo!

Spostandoci in Europa, scopriamo che anche le popolazioni celtiche e nordiche avevano i loro dèi della birra. Nella mitologia nordica spicca Ægir, il gigante del mare che era anche un anfitrione eccezionale: nelle saghe vichinghe Ægir preparava birra in un enorme calderone magico e invitava gli dèi Æsir (Odino, Thor e compagni) a banchetti dove la birra scorreva senza sosta. Ægir è dunque venerato come inventore della birra e patrono dei birrifici – la sua sala, illuminata da oro splendente e piena di schiuma, era il paradiso dei guerrieri. Non a caso, nella cultura popolare scandinava, “la birra di Ægir” era un modo poetico per riferirsi al mare schiumoso. Sempre tra gli dèi norreni, possiamo menzionare Thor e Odino che, pur non essendo specificamente dèi della birra, in molti miti apprezzano enormemente l’idromele e la birra condivisa nelle sale del Valhalla. Un’altra figura curiosa è Suttung, il gigante custode dell’idromele della poesia, una bevanda fermentata magica che Odino rubò per donarla ai poeti: pur trattandosi di idromele (idro-miele) e non di birra d’orzo, rientra nelle bevande fermentate “sacre” protette da esseri sovrannaturali.

Per i Celti, popolo anch’esso grande consumatore di cervogia, troviamo ad esempio la dea Latis. Latis era una divinità celtica dell’acqua e, per estensione, della birra – il suo nome in proto-celtico significa proprio “liquido” o “liquore”. Immaginata come una figura materna legata ai laghi, Latis fu in seguito assimilata nelle leggende locali come spirito delle bevute rituali. Nella tradizione irlandese, invece, incontriamo un dio fabbro di nome Goibniu: egli era uno dei Tuatha Dé Danann (le divinità principali d’Irlanda) e secondo il mito produceva la “birra dell’immortalità”, un elisir che rendeva invincibili gli dèi. Goibniu quindi, sebbene più noto per la forgia, fungeva anche da mastro birraio divino nelle leggende celtiche.

Questi esempi mostrano che quasi ogni cultura antica ha il suo dio o dea della birra. Per i Sumeri fu Ninkasi, per gli Egizi Tenenet (e un episodio con Sekhmet), per i nordici Ægir, per i Celti Latis o altre figure. La presenza costante di divinità birrarie suggerisce come la birra non fosse vista solo come bevanda, ma come elemento sacro, degno di protezione ultraterrena. D’altronde, la fermentazione era un processo misterioso agli occhi degli antichi: il mosto che ribolle e si trasforma in qualcosa di inebriante sembrava un prodigio, difficile da spiegare senza l’intervento di un dio. E così ecco prendere vita dèi birrai e dee fermentatrici, custodi di quel miracolo quotidiano che trasformava cereali e acqua in allegria liquida.

Le dee della birra: la fermentazione è donna

Colpisce notare come molte culture abbiano affidato la birra a divinità femminili. Non è un caso: in società agricole antiche, la produzione di birra – strettamente legata alla preparazione del pane – era spesso un compito femminile. Le donne sono state le prime birraie nella storia, e ciò si riflette nel pantheon: la birra è “cosa da dee”. Abbiamo già parlato di Ninkasi in Mesopotamia, di Hathor e Tenenet in Egitto, di Latis in area celtica. Ma l’elenco delle dee della birra è ancora più lungo e affascinante.

In Mesopotamia, oltre a Ninkasi, esisteva anche Siris, considerata un’altra dea della birra, talvolta indicata come figlia della stessa Ninkasi. Siris personificava l’ebbrezza dolce della birra ed era venerata specialmente in area accadica. La presenza di “madre e figlia” divine in ambito birrario – Ninkasi e Siris – sottolinea ulteriormente l’importanza attribuita a questa bevanda, quasi servisse un’intera famiglia celeste per vegliare sul boccale.

Tra le divinità femminili spiccano anche figure di culture lontane dall’Eurasia. Ad esempio, presso il popolo Zulu (Africa meridionale) troviamo Mbaba Mwana Waresa, una dea della fertilità strettamente legata alla birra. Nella mitologia zulu, Mbaba Mwana Waresa insegna agli uomini a fare la birra di sorgo e usa la bevanda come prova d’amore: la leggenda narra che scelse il suo marito mortale facendogli assaggiare la birra celeste, per vedere se lui potesse apprezzarne pienamente il dono divino. Viene descritta come governante delle piogge, degli arcobaleni e dell’agricoltura, tra cui appunto la coltivazione del sorgo birrario. Anche qui, birra e fertilità femminile vanno a braccetto.

Un altro esempio europeo meno noto è la dea Nehalennia nella regione germanica e celtica dell’attuale Olanda: spesso associata ai naviganti, Nehalennia in alcune interpretazioni presiedeva anche alla panificazione e alla birra. Le sue raffigurazioni la mostrano con un cesto di frutta, un simbolo di abbondanza, che potrebbe includere il luppolo – questa è una speculazione moderna, ma interessante perché lega una dea di abbondanza alla birra.

Tornando alle dee più famose, vale la pena spendere qualche parola in più su Hathor. In Egitto Hathor era talmente venerata come dea dell’ebbrezza gioiosa che durante la “Festa di Hathor” i partecipanti si ubriacavano intenzionalmente per entrare in comunione con la dea. Sono state trovate iscrizioni che descrivono questi festival dove “i volti si allietano e il cuore si inebria”, sotto la protezione di Hathor. È curioso pensare come l’ubriachezza, visto altrove come qualcosa di vergognoso, in quel contesto religioso fosse invece un atto di devozione! Questo ribalta la prospettiva: la birra sacra permetteva di avvicinarsi temporaneamente al divino, rompendo gli schemi della sobrietà quotidiana.

Un altro duo di sorelle egizie, già citato di sfuggita, merita evidenza: Iside e Nefti. Iside, grande dea madre e maga, era considerata anche protettrice della birra (oltre che di praticamente ogni altro aspetto della vita, essendo una divinità poli-valente). Suo fratello/sposo Osiride portava la conoscenza della birra agli uomini, e Iside ne favoriva la diffusione. Nefti, sua sorella oscura legata al lutto, era anch’essa associata alla birra. La presenza di Iside e Nefti, due poli opposti (vita e morte), entrambe collegate alla birra, fa pensare: la birra per gli Egizi era nutrimento e oblio, gioia e consolazione – quindi aveva sfaccettature multiple, ben incarnate da due dee sorelle che insieme rappresentavano la totalità dell’esperienza umana. Del resto, la birra serviva per festeggiare ma anche per lenire i dolori, un po’ come Iside dà vita e Nefti accoglie nel sonno eterno. In qualche testo dei Piramid Texts si menziona persino la birra come offerta rituale fondamentale, indice di quanto queste dee la tenessero in considerazione.

Volgendo lo sguardo ad Oriente, potremmo citare come curiosità anche alcune culture asiatiche. Ad esempio, in Giappone il sake (fermentato di riso, parente del nostro concetto di birra) aveva una kami protettrice chiamata Matsuo-sama (legata al famoso santuario Matsuo di Kyoto, venerato dai birrai di sake). Non è birra d’orzo, ma conferma che ovunque ci fosse fermentazione di cereali, c’era un’entità divina a salvaguardarla.

Riassumendo questa ricca panoramica, vediamo che le dee della birra dominano il pantheon brassicolo: Ninkasi, Siris, Hathor, Tenenet, Iside, Nefti, Latis, Mbaba Mwana Waresa… La lista è lunga. Perché proprio il genere femminile? In parte, come detto, per motivi sociali (erano le donne a produrre birra in molte società antiche). Ma c’è anche una valenza simbolica: la fermentazione è un processo generativo, quasi una “gestazione” del lievito che trasforma il mosto in birra. Era naturale attribuire questo potere a una madre divina. Inoltre, la birra ha a che fare con nutrimento (pensiamo alla birra come pane liquido), e tradizionalmente le dee si occupano di cibo e abbondanza. Infine, l’elemento della convivialità pacifica, della comunità che si stringe, spesso è incarnato da figure materne e accoglienti nella mitologia (mentre gli dèi maschi presiedono a guerra o altri ambiti più rigidi). La birra unisce le genti intorno al fuoco, fa cantare e raccontare storie: un’atmosfera quasi “materna” di calore comunitario. Chi meglio di una dea può proteggerla?

Oggi queste divinità femminili della birra sono perlopiù dimenticate al grande pubblico, ma il loro spirito vive. Per esempio, diversi birrifici artigianali attuali rendono omaggio a queste figure: esistono birre chiamate Ninkasi in onore della dea sumera, un noto birrificio americano prende addirittura il nome Ninkasi Brewing Company, evidenziando la volontà di collegarsi a quell’eredità mitologica. Allo stesso modo, non mancano birre artigianali ispirate alla mitologia antica (ecco un approfondimento sul tema), con riferimenti a dèi ed eroi sulle etichette. E così, sorseggiando una birra dal nome di una dea, senza accorgercene celebriamo nuovamente quelle antiche signore della fermentazione.

Spiriti e santi birrai: protettori “terreni” della birra

Accanto ai grandi dèi e dee, nella tradizione popolare esistono anche entità minori o figure umane divinizzate che fungono da protettori della birra. Questi non sono esattamente “dèi della birra” in senso canonico, ma meritano menzione nel nostro viaggio perché spesso, nel linguaggio comune, vengono chiamati scherzosamente così. Due categorie emergono: i folletti o spiriti del birrificio da una parte, e i santi patroni dei birrai dall’altra.

In Germania, ad esempio, si tramandano storie sul Biersal (o Bierzal). Il Biersal è uno spiritello domestico del folklore germanico che abita birrerie e cantine di birra. Si dice che sia un servizievole folletto: di notte pulisce botti, boccali e pavimenti del birrificio, aiutando i birrai nel loro lavoro. In cambio però esige una ricompensa: una buona quantità di birra lasciata apposta per lui. Guai a dimenticarsene o a lesinare sulla sua porzione! Un Biersal offeso può diventare dispettoso: le leggende narrano che se non veniva “pagato” con la birra, il folletto faceva andare a male intere cotte, rompeva le attrezzature o nascondeva gli strumenti ai mastri birrai. Questo folklore simpatico evidenzia la mentalità popolare: ogni birrificio, soprattutto in epoche in cui l’igiene era precaria, aveva bisogno quasi di un “angelo custode” (seppur birichino) che vegliasse sulla pulizia e sul buon esito della produzione. Il Biersal incarna proprio questo concetto – un guardiano invisibile della birra – e in fondo riflette la credenza che fare birra sia un’attività così importante da avere persino i suoi piccoli numi tutelari locali.

Un concetto simile esiste anche in altri Paesi: in Inghilterra, certe storie parlano di hobgoblin nelle cantine, e in generale nell’Europa del Nord i folletti domestici (gnomi, coboldi, domovoi ecc.) venivano spesso associati alla cura del cibo e delle bevande. Offrire una ciotola di birra al folletto di casa era usanza comune per propiziarselo. Ancora oggi, un famoso marchio di birra inglese artigianale si chiama “Hobgoblin” e raffigura un folletto sull’etichetta, chiaro riferimento a queste leggende.

Passando ai santi, troviamo figure storiche reali che la Chiesa cattolica ha canonizzato e che sono diventate protettori dei birrai e, per estensione, talvolta chiamati “santi della birra”. Il più celebre è Sant’Arnoldo di Soissons (noto anche come Sant’Arnoldo di Metz, ci sono in realtà due Arnoldo confusi nelle tradizioni). Arnoldo di Soissons era un vescovo vissuto nell’XI secolo in Belgio. La leggenda narra che durante una terribile epidemia (forse peste o colera) egli invitò insistentemente la popolazione a bere birra al posto dell’acqua, dopo aver osservato che chi beveva birra si ammalava di meno. In effetti, aveva ragione: l’acqua all’epoca era spesso contaminata, mentre la birra – grazie alla bollitura del mosto e alle proprietà antisettiche del luppolo – risultava più sicura. Secondo il racconto agiografico, Sant’Arnoldo salvò così molte vite, convincendo i concittadini a dissetarsi col prodotto dei birrifici locali anziché con l’acqua infetta. Si narra anche di un miracolo al suo funerale: i boccali di birra presenti si riempirono miracolosamente da soli, come segno della sua benedizione postuma! Per questi motivi, Sant’Arnoldo è venerato come patrono dei birrai e spesso citato come “il santo della birra” per eccellenza. La Chiesa ufficiale lo riconosce come patrono dei produttori di birra, a fianco di un altro santo meno noto, Sant’Agostino di Ippona, che pure è patrono di birrai (probabilmente per la sua frase “Cervisia faciet bonum” – la birra fa bene – sebbene la reale attribuzione sia dubbia).

Un altro santo birraio è San Colombano, missionario irlandese del VI secolo, che secondo una lettera scritta da un suo discepolo trasformò l’acqua in birra per ristorare i monaci durante un lungo viaggio – un miracolo “birroso” insomma, parallelo a quello ben più famoso del vino alle Nozze di Cana. Anche San Nicola (Sankt Nikolaus), noto come Santa Claus, ha un aggancio birrario: in alcune regioni della Germania è patrono dei bottai e si festeggia con l’apertura delle botti di birra nuove il 6 dicembre.

Questi santi dimostrano come la birra, importante nella vita quotidiana, lo fosse anche nella vita spirituale delle comunità cristiane: i monaci erano tra i principali produttori di birra, quindi non sorprende trovare santi monaci a proteggerli. Ancora oggi, molte birre trappiste o d’abbazia portano nomi di santi o immagini sacre. Ad esempio, sulle bottiglie della birra belga Leffe c’è raffigurato un abate (non un santo preciso, ma rappresenta la tradizione monastica).

Insomma, se nell’antichità pagana c’erano dèi e dee della birra, nel medioevo cristiano arrivarono santi e protettori a prendere il loro posto. La gente continuò però a immaginare che forze invisibili vegliassero sul nettare d’orzo: se non erano più dèi ufficiali, diventavano santi, oppure rimanevano nel folklore come piccoli spiriti. L’obiettivo era lo stesso: garantire che la birra risultasse buona, abbondante e benefica. Un curioso sincretismo avvenne in alcuni luoghi: riti contadini per propiziarsi il raccolto dell’orzo o la buona fermentazione persistevano sotto forma di benedizioni di santi locali, oppure di superstizioni come “far brindare” la prima birra prodotta in un birrificio versandone qualche goccia a terra come offerta ai geni del luogo. Queste tradizioni, per quanto non più considerate religione, sopravvivono in gesti e usanze – ad esempio brindare “versando un po’ per gli assenti” è un’usanza che in origine aveva un significato rituale propiziatorio.

Da Sant’Arnoldo al Biersal, il ventaglio di figure è ampio, ma tutte concorrono a rispondere alla nostra domanda da diverse angolazioni. Se qualcuno in tono scherzoso chiede “chi è il dio della birra?”, potrebbe attendersi che si parli anche di questi protettori: il santo vescovo col suo boccale o il folletto assetato in cantina sono insomma parte del folclore birrario tanto quanto Ninkasi o Ægir.

Gambrinus: il “dio” della birra nel folclore europeo

Non possiamo concludere senza menzionare di nuovo Gambrinus, di cui abbiamo ampiamente parlato come re della birra nel primo articolo. Perché ritorna qui? Ebbene, in alcuni contesti Gambrinus viene addirittura chiamato “il dio della birra” in senso lato. Pur non essendo un dio nella mitologia classica, Gambrinus è così popolare e così amato dal popolo da essere considerato quasi una divinità protettrice dai bevitori. In effetti, capita che la stampa o la letteratura si riferiscano a lui con epiteti come “il dio della birra” o “il patrono leggendario della birra”. Ad esempio, un antico racconto fiammingo titolava “Cambrinus, Roi de la Bière” (Cambrinus, re della birra) e già nel XIX secolo in America circolava una variante chiamata “Gambrinus, King of Lager Beer”. In Italia, articoli divulgativi lo appellano ironicamente dio della birra per sottolineare il suo status quasi divino tra gli appassionati.

Abbiamo visto come Gambrinus non sia un vero dio (non possiede templi né un culto religioso ufficiale), bensì un eroe folkloristico. Ma la linea di confine tra eroe e divinità popolare a volte è sottile. Quando le persone iniziano a raccontare leggende su un personaggio, ad attribuirgli miracoli (nel suo caso, birre straordinarie e imprese fantastiche) e a invocarlo nei canti goliardici (“Oh Gambrinus, facci bere!”), quel personaggio assume un’aura “divina” nel contesto culturale. Possiamo quindi annoverare Gambrinus tra le divinità della birra in senso figurato. Del resto, non aveva poteri soprannaturali? Nelle storie li ha: grazie al patto col diavolo o alla magia, produce birra perfetta, crea nuovi stili, vince qualsiasi bevuta. Sono attributi che nei miti classici verrebbero riservati a un dio della fertilità o del vino (come Dioniso/Bacco per il vino). Gambrinus è insomma un Dioniso della birra: anzi, è spesso chiamato proprio così, il “Bacco della birra”. Mentre Bacco regge l’uva, Gambrinus regge il boccale.

Nel folclore europeo di età moderna Gambrinus finì per occupare quello spazio immaginario che altrove era dei santi o degli dèi: era lui che “benediceva” idealmente le birre. A festival e fiere, il suo nome veniva invocato per inaugurare botte e brindisi. In alcune canzoni da birreria tedesche dell’800 (Studentenlieder) si cantava “Uns ruft Gambrinus zu Schmaus und Müh'” – “Gambrinus ci chiama al banchetto e alla fatica (del bere)” – come se fosse un nume tutelare. Anche in Italia, nell’800 e primo ‘900, non era insolito vedere Circolo Gambrinus o Caffè Gambrinus come nome di locali votati al buon bere, quasi a mettere l’attività sotto la protezione del re/dio della birra.

Possiamo considerare Gambrinus come la versione laica, carnevalesca, di un dio della birra: non c’è religiosità nel suo culto, solo goliardia. Però la sua presenza è stata talmente forte che perfino oggi se chiediamo “chi è il dio della birra” a un appassionato, potrebbe risponderci “Gambrinus” prima ancora di pensare a Ninkasi o ad altre figure antiche. Il suo fascino sta anche nell’essere un “dio” vicino alla gente: Gambrinus era (nella leggenda) un uomo qualunque che attraverso la birra trova riscatto, ricchezza e gioia. Non nasce dio, lo diventa nell’immaginario grazie alla birra. Questo sogno di elevazione attraverso la birra – in modo festoso – lo rende estremamente simpatico. È come se dicesse: chiunque con una buona pinta in mano può sentirsi un re, anzi un dio, per una sera. È un messaggio di edonismo semplice e condivisibile, che spiega la longevità del mito di Gambrinus.

Dopo aver esplorato dèi, dee, santi e spiriti, appare chiaro che Gambrinus svolge, nel contesto europeo, un ruolo analogo a quello di Ninkasi in Mesopotamia o di Sat Arnoldo in ambiente cristiano: personifica la birra e la sua importanza. Non sorprende che sia venerato nelle leggende sulla birra come abbiamo visto, al pari di un dio scanzonato. D’altronde, tra i tanti brindisi augurali uno antico recita: “Che Gambrinus ti sorrida sempre!”, quasi fosse un patrono che veglia sul boccale.

In conclusione, pur facendo parte del folclore e non della mitologia ufficiale, Gambrinus merita un posto d’onore tra le figure che rispondono alla domanda “chi è il dio della birra”. Per molti bevitori di ieri e di oggi, la risposta ha il volto rubicondo di quel re con la corona di schiuma. E se Ninkasi rappresenta la sacralità primordiale della birra, Gambrinus rappresenta la sacra allegria del brindisi: due aspetti diversi ma complementari del divino bicchiere.

Conclusioni

Il nostro viaggio tra divinità e leggende birrarie ci insegna che l’umanità, in ogni latitudine ed epoca, ha sentito il bisogno di porre la birra sotto una protezione “speciale”. Alla domanda chi è il dio della birra? non esiste una risposta univoca, ma tante storie e nomi affiorano dal passato. Per i Sumeri era la dolce Ninkasi, per gli Egizi poteva essere Hathor o Tenenet, per i Norreni il potente Ægir, per i Celti una Dea Latis nascosta nelle acque. Nella visione cristiana medievale il ruolo passò ai santi come Arnoldo di Soissons, mentre nel folclore moderno europeo trionfa la figura festosa di Gambrinus. Questa molteplicità di volti divini della birra riflette la centralità della bevanda nella vita quotidiana: la birra ha dissetato, nutrito, unito comunità e scandito rituali sociali, al punto da diventare “sacra” simbolicamente. Ogni divinità della birra – dea, dio, spirito o santo che sia – rappresenta un aspetto di questa sacralità: la fertilità della terra che fermenta, la sicurezza alimentare, la gioia conviviale, il sollievo dalle pene, la celebrazione della vita.

Pur non avendo più, oggi, un culto religioso attorno alla birra (nessuno prega Ninkasi al mattino, e i brindisi a Gambrinus sono scherzosi), l’eredità di queste figure perdura nella cultura. Lo vediamo nei racconti tramandati, nei nomi di birre e birrifici che citano dèi antichi, nelle feste della birra che inconsapevolmente replicano riti millenari di ringraziamento. In un certo senso, il “dio della birra” vive oggi nello spirito comunitario di ogni brindisi: quando alziamo i bicchieri e diciamo “alla salute!”, stiamo partecipando a un rituale collettivo che ha radici lontane, le stesse radici che un tempo portavano i Sumeri a cantare a Ninkasi o i monaci a invocare Sant’Arnoldo.

Conoscere queste storie arricchisce il piacere di una pinta: ogni sorso può evocare l’eco di un’antica preghiera o di una leggenda dimenticata. E forse è proprio questo il bello: la birra non è solo una bevanda, ma un filo conduttore che attraversa la nostra storia e la nostra mitologia. Che la si chiami dono degli dèi, pane liquido o pura opera dell’ingegno umano, resta il fatto che intere generazioni hanno voluto vedere nella schiuma del boccale un segno del favore divino.

In fin dei conti, chi è il dio della birra? La risposta definitiva potrebbe essere: è quella parte dell’immaginario collettivo che celebra la birra come qualcosa di più di una semplice bevanda. Un’entità composita fatta di tanti nomi – Ninkasi, Ægir, Gambrinus, e così via – che insieme testimoniano l’amore dell’umanità per la birra. E finché continueremo a brindare insieme, quel “dio” sorriderà, qualunque sia il nome che scegliamo di dargli.

tl;dr

Non esiste un unico dio della birra, ma molte divinità e figure protettrici nelle diverse culture. I Sumeri veneravano Ninkasi, dea della birra; gli Egizi avevano Tenenet e Hathor; i Norreni Ægir; i Celti Latis. Nel medioevo cristiano, santi come Arnoldo di Soissons divennero patroni dei birrai. Nel folclore europeo, Gambrinus è considerato il “re” o “dio” della birra. Queste figure riflettono l’importanza sacrale e sociale della birra nella storia umana.

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4 commenti

  1. Non conoscevo Ninkasi, che storia affascinante! Mi piacerebbe provare una birra ispirata a questa dea sumera.

  2. Interessante la parte su Ægir. Nella mitologia norrena è davvero un personaggio centrale per la birra. Grazie per l’articolo!

  3. Articolo completo e ben documentato. Mi ha colpito il ruolo delle dee nella birra, segno che le donne hanno sempre avuto un ruolo importante nella produzione.

  4. Sant’Arnoldo è un esempio di come la fede e la praticità possano incontrarsi. Bella la storia del miracolo della birra!

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